(ASI) Potrebbe essere la svolta decisiva per la guerra in Siria quella annunciata nella giornata di ieri: per la prima volta Mosca e Washington sarebbero d’accordo a dare sostegno al governo di Assad nella lotta alle milizie ribelli che hanno gettato la Siria nel caos.
Jonh Kerry ed il cambio di rotta degli Usa


“Gli Stati Uniti d’America e la Russia potrebbero approvare i prossimi raid dell’aereonautica militare siriana sulle postazioni dei ribelli” – ha reso noto il segretario di stato americano John Kerry. Kerry ha però tenuto a precisare che l’approvazione dei suddetti raid sarà concessa solo previa accertamento che le “azioni militari da parte da parte delle forze governative siriane, siano dirette unicamente contro i gruppi legati ad Al Qaeda”. Anche se di fatto il segretario di stato americano ha dunque di fatto negato alcuna forma di sostegno incondizionato, l’inedito cambio di rotta da parte dell’amministrazione Obama ha suscitato la sorpresa generale. Tanto più che fino all’agosto scorso gli esponenti della stessa continuavano a riferirsi ad Assad come ad “un tiranno con il quale non ci sarà mai dialogo fin quando non lascerà il potere”. L’affermazione di Kerry ha di fatto suonato come un bene placito nei confronti delle iniziative del governo di Damasco, a patto però che queste non siano lesive dell’immagine di combattenti per la libertà che Washington ha sempre dato degli insorti siriani. Politicamente di fatto si tratta dunque di evitare la sconfessione della politica estera degli Usa nella regione. Il fatto inoltre che il primo a darne notizia sia stato il segretario di stato americano, potrebbe rafforzare ancor di più l’ipotesi che la Casa Bianca abbia deciso di voler passare ad una politica più aggressiva nel teatro siriano senza che ciò comporti ulteriori dispiegamenti di truppe e mezzi, ma tentando di rimanere comunque il punto di riferimento nella conduzione delle operazioni. Tale tentativo di salvaguardare l’immagine e l’autorevolezza degli Usa nello scenario siriano, parrebbe peraltro esser giunto tardivamente, e con il rischio di finire per essere un’ammissione della marginalizzazione di Washington in seguito alla discesa in campo della Russia e ai conseguenti notevoli progressi in favore dei governativi di Assad.
Il monito di Assad e la tregua di 7 giorni
Il presidente siriano Bashar Al-Assad, in visita nella città di Daraya, simbolo della ribellione e che alla fine di agosto era stata riconquistata dalle forze di Damasco, ha fatto sapere che “Damasco intende riconquistare tutti i territori in mano allo stato islamico e a qualsiasi frangia od organizzazione terroristica”. Il presidente siriano ha poi lanciato un duro monito –“La mia visita a Daraya quest’oggi è un messaggio a chi dall’estero ha complottato per far cadere la Siria ed il suo modello di convivenza”. Mentre sulla questione della “disponibilità” di Usa e Russia a sostenere eventuali raid dell’aeronautica militare siriana, Assad non ha rilasciato dichiarazioni dirette in merito. Al contrario Damasco ha fatto sapere che intende rispettare la tregua sottoscritta di concerto con tutte le forze presenti sul campo. Tale tregua ha avuto inizio alle 19 di ieri (le 18 in Italia) e terminerà alle 23:59 del giorno 18 settembre. Assad ha però fatto sapere, tramite l’agenzia di informazioni governativa Sana, che “Damasco si riserva il diritto di rispondere in maniera decisa contro qualsiasi gruppo che violi la tregua”. Il riferimento al fatto che il governo di Damasco intenda rifiutare i “distinguo” dell’amministrazione Usa parrebbe più che evidente. A vigilare sulla tregua sono state incaricate le forze armate russe che, anche mediante l’ausilio di continue ricognizioni da parte di velivoli senza pilota, avranno il compito di documentare le eventuali violazioni della tregua attualmente in atto.
Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia

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