(ASI) Anche il secondo “Super Tuesday” (Super Martedì) è giunto al termine. Per la seconda volta i vincitori assoluti sono stati Donald Trump per le primarie repubblicane ed Hillary Clinton per quella democratiche. Anche se in scala assai ridotta rispetto al precedente “Super Martedì”, si votava infatti in 5 stati contro i 14 della volta scorsa, anche questa volta il trionfo assoluto è andato ai due favoriti destinati ormai ad essere quasi certamente i futuri sfidanti delle presidenziali d’autunno. In cassa democratica il trionfo con percentuali schiaccianti in Florida (64,4%), in North Carolina (54,5%), Ohio (56,4%) e quello più risicato dell’Illinois (50,2%) hanno consegnato alla Clinton ben 168 delegati portando il totale a 1412. Ciò consente alla ex First Lady di avvicinarsi perentoriamente all’obbiettivo del 51% dei delegati che metterebbe definitivamente fine alle speranze dello sfidante, il governatore del Vermont Bernie Sanders. Lo sfidante “socialista” deve riporre a questo punto le sue speranze di evitare la sconfitta totale nel solo Missouri dove lo spoglio è ancora in corso e al momento, su uno spoglio di oltre il 99%, vede in vantaggio Sanders con il 50% contro il 49,88 % della Clinton. In caso di vittoria, per quanto risicata, si tratterebbe di una vera e propria boccata d’ossigeno per Bernie Sanders, il quale, in caso contrario, vedrebbe aumentare ancor di più il vantaggio della Clinton e con esso l’inizio della fine delle speranze di vittoria per il governatore del Vermont. Ancora una volta Hillary ha beneficiato di una strategia politica che si potrebbe definire la “gioiosa macchina da guerra”. Il tema dello scontro razziale ha dimostrato ancora una volta tutto il suo peso politico assegnando alla Clinton la quasi totalità dell’elettorato afroamericano. Altri effetti correlati alla buona impostazione di detta strategia, la capacità di collegare i temi dello scontro razziale con quelli femministi attraverso il forte impegno delle madri di numerosi giovani afroamericani coinvolti, ad agenti di polizia bianchi, in spiacevoli episodi di cronaca. Tale strategia ha permesso alla Clinton di aumentare vertiginosamente la propria popolarità tra l’elettorato femminile che all’inizio della campagna delle primarie democratiche era schierato per lo più con Sanders. Quest’ultimo ha mantenuto forti consensi tra gli studenti dei campus universitari, e tra l’ex ceto medio e i ceti operai bianchi, ma ha visto erodere la base dell’elettorato ispanico che risposto positivamente al richiamo della Clinton all’unità sotto la propria bandiera per potersi opporre alle proposte politiche dei candidati repubblicani, e specialmente di Donald Trump, in materia di immigrazione.
Dal canto suo Trump ha potuto cogliere l’ennesimo successo a spese della leadership repubblicana. Ancora una volta il magnate newyorkese si è imposto sbaragliando gli avversari in 4 stati su 5, nonostante gli appelli del partito al voto “utile” per i candidati più graditi al partito. Nonostante l’opposizione dei due principali sfidanti, Ted Cruz e Marco Rubio, Trump si è aggiudicato schiaccianti vittorie in Florida (45,7%), North Carolina (40,3%), Illinois (38,8%) e un più risicato successo nel Missouri (41%) dove Trump ha vinto per meno 0,2% dei voti. Unica nota dolente, ma ampiamente prevista dal magnate newyorkese, l’Ohio, che ha premiato il buon governo del senatore John Kasich. Quest’ultimo, quarto assoluto e ben distanziato dai primi tre in classifica, è riuscito a portare a casa un trionfo “confidenziale” di oltre 10 punti percentuali. Ciò ha permesso a Kascih un incredibile recupero arrivando con 138 delegati a soli 30 di distacco dal terzo assoluto della classifica, cioè il governatore della Florida Marco Rubio.
Quest’ultimo a differenza di Kascih, ha riportato una pesante sconfitta proprio nello stato di cui è governatore. Il deludente risultato del 27% riportato in casa ha politicamente fatto suonare a morto le campane per le speranze di vittoria di Rubio il quale ha annunciato il proprio ritiro dalle primarie repubblicane. Dopo Jeb Bush, il partito ha perso un ‘altro cavallo su cui la leadership repubblicana aveva puntato. Come nel caso di Bush, anche Rubio ha pagato una campagna elettorale apparsa debole e priva di reali convinzioni fin dai primi passi, e che nulla ha potuto contro l’esuberanza e l’imprevedibilità di Donald Trump. A questo punto voci insistenti indicherebbero in John Kasich il nuovo candidato anti – Trump su cui la leadership potrebbe puntare, ma proprio queste voci hanno scatenato la reazione indispettita di Ted Cruz. Il governatore del Texas continua infatti a chiedere a gran voce di essere ufficialmente investito dal partito dell’incarico di fermare Trump. Ma il partito repubblicano ancora una volta ha lasciato cadere nel vuoto le richieste dell’ultra evangelico Cruz, il quale, pur avendo a disposizione un totale di 395 delegati, non pare comunque in condizione di rimontare lo svantaggio che lo separa dai 620 di Donald Trump. Altro fattore avverso a Cruz il fatto che egli stesso viene ritenuto un “impresentabile” dal partito quasi alla stregua del magnate newyorkese. Inoltre il forte fanatismo religioso di Cruz ne fa un candidato da sempre poco gradito alle masse repubblicane laiche. Viceversa insistenti si stanno facendo le voci di un ordine di scuderia che il partito potrebbe dare riguardo i 168 candidati lasciati in “eredità” da Marco Rubio. Unendo questi ultimi ai 138 di Kasich e alla dozzina racimolata dagli altri candidati minori in corsa o ritirati, il governatore dell’Ohio potrebbe venirsi a trovare in una posizione favorevole per tentare il quasi impossibile recupero su Donald Trump. Quest’ultimo ha invece fatto sapere che a suo avviso qualsiasi tentativo di negargli la nomination repubblicana attraverso giochi di palazzo “scatenerebbe rivolte di piazza contro il partito”.
Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia
Copyright © ASI. Riproduzione vietata