Prof. Claudio Moffa: "Sulla Siria vince la strategia di Putin"

(ASI) Le notizie di oggi 16 novembre confermano il mio schema di analisi e il mio prudente ottimismo. Lo schema è distinguere non solo tra l'Islam e gli Islam, ma anche tra gli "Occidenti".

Hollande non è Sarkozy, Obama non è Hillary Rodham Clinton, incredibilmente presentata da Libero di oggi (16 novembre, ndr) - proprio lei, da sempre rappresentante della Israel Lobby negli USA - come una dura antiIsis di fronte alle titubanze (presunte? o maschera a copertura per una decisione presa fa tempo?) del Capo della Casa Bianca.
Il mio ottimismo - che consiste in una attenta considerazione, senza pregiudizi ideologici dei protagonisti della crisi - è confermato dal sì di Obama alla guerra all'Isis, e dello stesso Hollande. La fase è di transizione, ma la Russia, la Siria e l'Iran guadagnano punti. Putin spinge giustamente per una grande coalizione sotto l'egida dell'ONU che -nel pieno rispetto della Carta dell'ONU - difenda Bashar Assad anche dai ribelli "moderati". Ha perfettamente ragione sia in punto di diritto internazionale - Assad è il presidente legittimo della Siria - sia dal punto di vista geopolitico: c'è forse una guerrglia 'moderata' unitaria? No, e dunque il dopo Assad trascinerebbe la Siria in una situazione di caos alla libica. Considerazioni forti che dovrebbero convincere tutti.
Ma a questo punto la partita chiama in causa il solito noto e solito occultato, Israele: tutti  tacciono su questo punto, ma sono FATTI stradocumentati almeno dal sottoscritto, che esiste un filone dell'Islam proisraeliano che data almeno dagli anni 90: musulmani bosniaci, gli stessi Curdi, e poi i Ceceni, il Darfur, al Qaeda, e ovviamente l'Isis. Dopo l'11 settembre fonti Mossad diffusero la notizia che Saddam Hussein aveva organizzato l'attentato alle Twin Tower assieme al Qaeda. Pazzesco, ma la scena si è ripetuta questa mattina quando un TG ha sostenuto che Al Baghdadi e la Siria avrebbero concordato e organizzato la strage di Parigi. La Storia si ripete, ma è difficile dire che per certuni giornalisti e politici, sia anche 'magistra vitae'.  (CM)

15 novembre - Dopo i criminali attentati di Parigi, una valanga di commenti e prese di posizione sta inondando i media. Come orientarsi? Due fatti vanno presi in considerazione: il primo è recente, la decisione di Parigi – come scrivevano l’8 novembre scorso l’AFP e la Reuters – di inviare nel Golfo Persico la portaerei De Gaulle a proteggere e supportare le “operazioni in Iraq e in Siria contro l’Isis”. Hollande cioè, continua sì a ripetere di disconoscere Assad come alleato dell’Occidente, ma potrebbe alla fine ritrovarsi al suo fianco, assieme alla Russia e all’Iran, nella guerra all’ISIS . Ecco dunque il perché delle stragi parigine.

Si potrebbe ricordare che un conto sono le parole e un conto saranno i fatti, ma diversi indizi sembrano ormai indicare che dopo l’intervento russo a sostegno di Assad, tra i governi occidentali si sta rafforzando la coscienza che non si puo’ continuare a sostenere guerriglie e movimenti contro dittatori veri o presunti, e che la prima via per il progresso della democrazia nel mondo sta in un alt fermo e deciso alla strategia del caos che ha distrutto la pace in Iraq (guerra del 2003), in Libia (guerra del 2011) e negli ultimi anni in Siria. E l’Isis, ecco il punto, è l’emblema di questa strategia di destabilizzazione continua: attraverso la quale, di strage in strage, si sta implementando quello ‘scontro di civiltà’ sognato dai neocons americani e dai falchi presenti purtroppo non solo nelle Amministrazioni statunitensi ma anche nei paesi europei. Proprio la Francia,  e in particolare il precedessore di Hollande - Sarkozy,  il principale responsabile dell’assassinio di Gheddafi  e della distruzione della Libia - ne è l’esempio.

Il caso Sarkozy introduce d’altro canto il secondo “fatto” da considerare, in realtà una sequela di episodi che attraversa le cronache del Vicino e Medio Oriente del nuovo secolo. Quanti hanno ricordato sui grandi media che Sarkozy è sempre stato uno strettissimo e fedelissimo alleato di Israele, un espion du Mossad, secondo una battuta ‘forte’ ma rivelatrice Le Figaro?  Un politico che da quando era sindaco di Neully fino al suo ingresso all’Eliseo, ha costruito tutta la sua carriera col supporto delle lobbies pro israeliane francese e americana?

Un’analoga omissione accade per il cosiddetto “terrorismo islamico”. Sono infatti notizie documentate dai grandi media, sebbene puntualmente obliate nel momento in cui sarebbe opportuno ricordarle, le manifestazioni di solidarietà e il supporto operativo di Israele e di molti esponenti autorevoli delle sue ‘diaspore’, a certo “terrorismo islamico”: quello ceceno (oggi schierato con l’Isis), gli albanesi antiserbi del Kosovo, i musulmani bosniaci, la minoritaria guerriglia islamista del Darfur, o gli stessi curdi, apertamente difesi in prima persona da Netanyahu circa un anno fa. Dietro queste notizie, firme e testate autorevoli –Corriere della Sera, El Pais, , Rainews24, Il Giorno – con paginate sui profughi bosniaci e del Darfur accolti dallo Stato ebraico,  interviste e intercettazioni del finanziere russo-israeliano Berezovsky, prese di posizione di fondazioni legate a George Soros (Albania), e, volendo, la battuta ironica di Netanyahu a Obama circa un anno fa , qualcosa come “vedete un po’ se riuscite a sconfiggere l’Isis …”

E allora: che cos’è veramente il daesh-Isis? come si colloca  dentro la categoria onnivora del “terrorismo islamico”? Il primo a parlarne è stato l’Iran di Rohani: lo Stato islamico è una creatura israelo-americana (dove l’ “America” sono più la Clinton e Kerry, che Obama e Bernie Sanders) e Al Baghadi è un sionista ebreo agente del Mossad. Così i mass media iraniani all’inizio della tragica espansione dell’ISIS nel mondo arabo. 

Ma dopo questa esternazione – che non ci risulta essere stata ripresa o quanto meno evidenziata dalla stampa italiana – altre voci di opinionisti non solo arabi, e altri fatti hanno confermato l’ascrivibilità dei jahdisti dello Stato islamico a quella strategia del caos che giova assai poco ai paesi occidentali e favorisce oggettivamente il costante rifiuto dello Stato d’Israele di adeguarsi alle regole del diritto internazionali: in Palestina, nel Golan siriano, o nelle zone di confine con il Libano. Vedi Palmira, emblema di una mentalità che vuole seppellire e far dimenticare la plurimillenaria storia multiculturale del Vicino Oriente, crocevia delle grandi civiltà del mondo antico, e che è tipica anche di certo estremismo nazionalista israeliano, quello stesso oltranzismo iconoclastico già emerso non a caso nelle guerre (anche) archeologiche contro l’Iraq di Saddam Hussein. E vedi una cartina diffusa mesi fa dal New York Times, sulla reale configurazione territoriale delle regioni conquistate dall’avanzata de Daesh: il cui obbiettivo di uno Stato islamico veramente unitario – apparente riedizione in chiave integralista del panarabismo laico di Nasser – necessiterebbe stando a quella mappa, di una fase “intermedia” durante la quale si formerebbero tanti “Stati islamici”, in tutte le zone dei paesi del Medio Oriente conquistate manu militare dalle armate di Al Baghadi. E’ tanto dissimile questa opzione “tattica” dal vecchio progetto di balcanizzazione del Medio Oriente lungo linee etno-religiose, di cui alla rivista ebraica Kivunim, a firma Oded Ynon, del 1982?

Ma soprattutto, se queste considerazioni non bastassero, ci sono due notizie recenti che ci rivelano il vero volto dell’Isis dietro la maschera dell’estremismo sunnita: la prima è la strage nel quartiere sciita di Beirut appena due giorni fa, alla vigilia cioe’ degli attentati di Parigi. Non sarebbe ora che i governi europei comprendessero la diversità profonda tra Al Qaeda ieri e l’ISIS oggi, e dall’altra parte, i movimenti di liberazione che si battono contro una presenza straniera sul loro territorio nazionale, come Hezbollah appunto, e Hamas? Non sarebbe ora di eliminare questi due alleati di fatto nella guerra contro l’Isis, dalla lista dei movimenti terroristi? Lo prescrive non solo la convenienza geopolitica o vecchio adagio “il nemico del mio nemico è mio amico”, ma anche la Carta di San Francisco, e la prassi ONU nell’età della decolonizzazione, a cominciare dalla dichiarazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite 1514 del 1960.

Il secondo fatto è poi ancora più convincente: è la notizia diffusa dal DESI (Dipartimento Europeo Sicurezza Internazionale) e ripresa dall’agenzia iraniana Fars, dell’avvenuto arresto in Iraq di un ufficiale israeliano tra le fila degli Jahdisti dell’Isis. Più chiaro di così, non puo’ essere. Certo le grandi reti mediatiche non hanno rilanciato questa notizia cruciale: ma dove sta l'ianffidabilità? E' forse affidabile un’informazione che è sempre o quasi omissiva – come sopra ricordato – quando si deve evidenziare il ruolo destabilizzatore di Israele in Medio Oriente e non solo?

Concludiamo: se questa è l’analisi, cosa fare? Una prima scelta è quella tra la presa di posizione di Putin – non abbassare la guardia – e la tentazione di una fuga dall’impegno alla guerra contro l’ISIS, che poi è anche una fuga dalla realtà. Come dire, continuiamo come sempre, a fare i camerieri di chi massacra cristiani e musulmani in Medio Oriente sotto la maschera dell’Islam.

Un secondo provvedimento è quello di chiudere le frontiere, assolutamente condivisibile, tranne non scatenare una caccia alle streghe verso tutti i musulmani già nel nostro paese, e saper distinguere tra parole e azioni, tra i veri terroristi e chi non c’entra nulla con le trame stragiste, tra clandestini e regolari. Distinzione non facile, ma doverosa.

Il terzo imperativo è far tacere gli stupidi: comprendere l’Isis? Pazzesco. Cinque stelle puo’ dire anche dieci cose giuste di fila sull’universo mondo. Ma poi una idiozia come quella pronunciata da Di Battista (e da Russo), azzera tutto: l’esponente grillino dovrebbe riflettere non solo sulla strage di Parigi, ma anche su quella contro il quartiere sciita gestito da Hezbollah. Ma il vizio dell’estremismo antiamericano e antioccidentale è duro a morire, e trascina con sé, nella indistinta nebulosa del ‘terrorismo islamico’, anche le cause giuste, come quelle pur difficili della restituzione del Golan alla Siria, delle fattorie occupate e di una frontiera sicura al Libano, e del ritiro di Israele nei confini del 1967. Piuttosto ci si occupi degli strani “musulmani” europei che sono la punta di lancia, forse non solo mediatica, del terrorismo antisiriano. Anche questo è un compito difficile, ma opportuno. Chissà cosa verrebbe fuori da una indagine appropriata sul “chi è chi” tra gli europei che vanno a seminare caos e morte nei paesi del Vicino Oriente.

Claudio Moffa

 

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