(ASI) Il portale israeliano Debka aveva lanciato la "notizia bomba" circa due settimane fa: nei giorni precedenti la portaerei cinese Liaoning avrebbe fatto ingresso nel Mediterraneo, attraverso il Canale di Suez,
per raggiungere la base che i russi stavano allestendo presso la città portuale siriana di Lattakia e dar loro manforte nelle operazioni di distruzione delle strutture dell'ISIS. A scanso di equivoci, va subito precisato che la notizia riportata da Debka era infondata. Non è la prima volta che il sito israeliano azzarda previsioni sulla base di voci e ipotesi che il suo staff afferma di ricevere direttamente dal Mossad o da Tsahal. A volte le sue previsioni vengono effettivamente confermate dai fatti, altre volte sono invece seccamente smentite. Insomma, è accaduto quello che avviene per qualsiasi altro quotidiano che tratti la complicata matassa della cronaca politica internazionale, dove non di rado le apparenze ingannano e le polarizzazioni teoriche possono subire smentite, anche impietose, dall'evoluzione dei fatti.
Tuttavia, più rapide di un fulmine sono arrivate, quasi per assunto, le smentite della rete, senza nemmeno la benché minima ricerca, per una controverifica. Secondo alcuni, la Liaoning non c'era semplicemente perché "non è ancora in servizio", quando invece lo è dal settembre del 2012. Per altri, invece, non c'era e non sarebbe servita a nulla perché è "un vecchio catorcio sovietico", quando in realtà la Varjag, Classe Kuznetsov, è stata completamente ristrutturata e rimessa a nuovo dai cinesi che, da par loro, sono quasi certamente già al lavoro su una seconda portaerei, stavolta di fabbricazione esclusivamente nazionale.
Il mestiere di informare impone di prefigurare i possibili scenari attenendosi ai fatti, a ciò che sappiamo con certezza e che possiamo verificare, senza cercare né gli scoop senzazionalistici né le smentite ad ogni costo. In quei giorni, il Ministero degli Esteri di Pechino non ha mai confermato né smentito le indiscrezioni sulla presenza di personale militare cinese nel teatro di conflitto siriano, ma si è limitato ad annunciare che la Repubblica Popolare era (ed è) pronta ad unirsi attivamente alla coalizione internazionale contro il terrorismo, secondo un frasario secco e deciso che, nel caso della leadership cinese, non deve mai essere sottovalutato.
Casus belli
Apparentemente la siderale distanza geografica suggerirebbe che gli interessi cinesi nello scenario siro-iracheno abbiano un peso enormemente minore rispetto a quelli russi. In realtà, la Russia, dopo due guerre in Cecenia e diversi drammatici attacchi terroristici subiti, negli ultimi anni sembra aver debellato almeno gli archi di crisi più problematici nel Caucaso settentrionale, al punto che le forze speciali (Spetsnaz) dell'FSB hanno ormai circoscritto il pericolo islamista quasi alla sola regione del Dagestan. Per quanto riguarda la Cina, invece, l'estremismo dei gruppi separatisti uiguri non solo ha continuato ad insanguinare la regione autonoma dello Xinjiang, ma ha anche saputo infiltrarsi nella Cina interna, come nel caso degli accoltellamenti di massa alla stazione di Kunming o del veicolo lanciato all'impazzata contro la folla in Piazza Tienanmen nell'ottobre di due anni fa.
Dopo le violenze e i disordini del luglio 2009, quando centinaia di estremisti misero a ferro e fuoco le strade di Ürümqi, capoluogo dello Xinjiang, lo stato d'assedio dichiarato da Pechino aveva ristabilito l'ordine pubblico e la pace sociale nella regione. Tra le poche voci critiche del mondo musulmano, che solitamente considera la causa uigura su un piano di importanza secondaria, si levò quella dell'allora primo ministro turco (oggi presidente) Erdoğan, che accusò il governo cinese di "quasi genocidio". Del resto, la doppia matrice ideologica - islamista e panturchista - dell'indipendentismo uiguro permette agli estremisti di godere dell'appoggio sia di gruppi religiosi, come Hizmet del predicatore Fethullah Gülen, da anni residente negli Stati Uniti, sia di gruppi nazionalisti e di ex lupi grigi.
Con lo scoppio delle primavere arabe e l'emersione di nuove sigle terroristiche in Medio Oriente, diverse centinaia di miliziani uiguri, attraverso uomini di riferimento residenti in Turchia grazie alla doppia cittadinanza ottenuta in passato, hanno stabilito ponti di contatto con l'ISIS acquisendo nuove capacità di guerriglia e infiltrazione non solo in Cina ma anche nel Sud-Est asiatico, come dimostra l'attentato di Bangkok dell'agosto scorso.
I 17 pacchi bomba fatti esplodere nella regione autonoma cinese del Guangxi alla fine di settembre non hanno ancora una spiegazione e l'opinione pubblica resta in attesa che le indagini delle autorità individuino le responsabilità dell'attacco multiplo. Se dovesse essere appurata la matrice politica islamista del folle attentato, si tratterebbe dell'ennesima dichiarazione di guerra del terrorismo contro Pechino. Fin'ora la Cina ha sempre deciso di considerare il fenomeno esclusivamente entro i confini della politica di sicurezza interna, ma la raffica di attentati, attacchi e incidenti verificatisi negli ultimi quattro anni potrebbero spingere il Ministero della Difesa a cambiare prospettiva, combinare le operazioni con il Ministero degli Esteri e neutralizzare i nuovi fermenti terroristici attivi nel Paese colpendoli direttamente alla radice, cioè in Siria e Iraq.
Ipotesi 1: intervento in Siria
La Cina, ancor più della Russia, fonda la sua azione internazionale sul rispetto della Carta delle Nazioni Unite e ne recepisce e rafforza il dettato integrandone i pilastri fondamentali con i Cinque Principi della Coesistenza Pacifica, in base ai quali Pechino bandisce qualunque tentativo di interferire negli affari interni degli altri Stati prediligendo la stabilità e l'armonia sociale, tanto che la Repubblica Popolare non dispone di alcuna base militare al di fuori dei propri confini nazionali. La Russia opera già da molti anni nella base navale siriana di Tartous, così come aveva in affitto quella di Sebastopoli (fino al 2042) in Crimea, in base ad accordi legali stipulati in passato con Damasco e con Kiev.
Pechino, perciò, non ha in partenza alcun "appoggio" che possa non solo legittimare una sua eventuale azione militare ma anche facilitarne le operazioni. La vasta distanza spaziale che intercorre tra la Cina e la Siria complica ulteriormente la situazione e rende impossibile qualsiasi piano fondato su interventi-lampo. L'accordo raggiunto tra Russia e Siria prevede lo sfondamento delle linee nemiche attraverso un'azione combinata differita tra i raid aerei russi e le operazioni di terra dell'esercito siriano, coadiuvato da unità militari iraniane e di Hezbollah. E' perciò impensabile che l'Esercito Popolare di Liberazione riceva e accetti qualsiasi mandato di condurre azioni di terra su un teatro straniero, mai testato prima e quasi sconosciuto sul piano operativo.
Se la Cina interverrà in Siria, potrà farlo in due modi.
1 - Intervento indiretto (più probabile): la Cina potrebbe inviare specialisti e unità anti-terrorismo che istruiscano ed addestrino reparti o unità specializzate dell'esercito siriano. Questo potrebbe avvenire già nelle prossime settimane. Il quotidiano arabo al-Masdar, citando fonti anonime dell'esercito siriano e di quello russo, suggeriva il mese di novembre come riferimento temporale più idoneo per l'arrivo degli esperti cinesi.
2 - Intervento diretto (meno probabile): in questo caso, su mandato del presidente Assad e in coordinamento con il Cremlino, la Cina si affiancherebbe alla Russia nelle operazioni aeree contro lo Stato Islamico e gli altri gruppi integralisti attivi in Siria. Qui entrerebbe in gioco la Liaoning che, considerando la velocità di crociera, le soste fisiologiche e qualche eventuale avversità meteorologica, nel giro di 15-20 giorni potrebbe trasportare i velivoli direttamente nel Mediterraneo, supplendo così all'assenza di una base d'appoggio per le ricognizioni e i rifornimenti. I mezzi delle Forze Aree Cinesi più indicati ed efficaci per bombardamenti tattici e attacchi rapidi a bassa quota sono il caccia multiruolo J-15, il cacciabombardiere JH-7A e l'aereo da attacco al suolo Q-5. Il J-15 è già stato testato con successo nel 2012 sulla Liaoning, che ad oggi può trasportarne circa 30 esemplari, oltre a 4 elicotteri pesanti da trasporto Z-8. Per quanto riguarda il JH-7A e il Q-5, al momento pare non sia possibile imbarcarli ed utilizzarli da questo tipo di portaerei. Tuttavia, il J-15, che è un multiruolo, può svolgere indistintamente tutte le loro funzioni operative.
Ipotesi 2: intervento in Iraq
Stando alle comunicazioni del Pentagono dell'agosto scorso, la Marina degli Stati Uniti non disporrà per almeno due mesi di alcuna portaerei nel Golfo Persico. Proprio lo scorso 9 ottobre, così come previsto per ragioni tecniche e di bilancio, la USS Theodore Roosevelt ha abbandonato l'area. La USS Harry Truman, che dovrà sostituirla, non arriverà prima dell'inverno.
In questo lasso di tempo, dunque, le acque del Golfo saranno sgombre da qualsiasi elemento potenzialmente ostile per la Marina Cinese. Non è impossibile ritenere che la Commissione Militare Centrale possa studiare un percorso alternativo relativamente più breve rispetto all'ipotesi 1, dunque meno impegnativo e meno costoso. Tagliando il Mar Arabico all'altezza del Golfo dell'Oman e navigando a vista al largo dei principali porti persici dell'Iran, la portaerei cinese potrebbe raggiungere il porto iraniano di Bandar-e Emam Khomeyini o, se dovesse essere trovato un accordo col governo di Baghdad, direttamente presso il porto iracheno di Umm Qasr.
A questo punto, il comando centrale unificato per l'intelligence e la sicurezza, creato alla fine di settembre attorno all'alleanza anti-ISIS tra Siria, Russia, Iran e Iraq, potrebbe accogliere l'Esercito Cinese assegnandogli compiti simili a quelli russi in Siria, ma nel solo teatro iracheno, fin'ora lasciato fuori dalle operazioni aeree stabilite nel quadro della nuova coalizione internazionale guidata da Mosca e Damasco.
Dall'estremo Sud dell'Iraq o dal vicino confine iraniano, i J-15 cinesi, che hanno un raggio d'azione di 3.500 km, potrebbero perfettamente coprire i circa 850 km che in linea d'aria separano Umm Qasr da Mosul, cuore nevralgico dello Stato Islamico, colpire gli obiettivi e poi rientrare alla base.
Uno scenario del genere, al momento poco percepibile, potrebbe prendere corpo nei prossimi due mesi, sfruttando il vuoto militare lasciato dalla Theodore Roosevelt nel Golfo. L'intervento diretto cinese in Iraq andrebbe a chiudere il cerchio di una cooperazione Mosca-Pechino, capace di portare il consesso e gli obiettivi dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai ad un nuovo e più prestigioso livello sia sul piano politico che su quello militare.
.Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia