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L'anniversario della Rivoluzione in Iran tra voglia di cambiamento e incertezza per il futuro
(ASI) Ricorre in questi giorni l'anniversario della Rivoluzione islamica dell'Iran, che nel febbraio del 1979 causò la caduta definitiva della monarchia persiana guidata dalla famiglia reale Pahlavi, al potere in Iran dagli anni '20 del Novecento. I festeggiamenti quest'anno hanno un sapore particolare, in quanto, dall'avvento della Repubblica Islamica fondata dall'Imam Khomeini, non era mai successo che l'Iran e l'Occidente avessero avuto delle relazioni così amichevoli. Ovviamente in Iran, ancora oggi, nonostante i governi "moderati" di Rohani e Obama, non vi è la presenza di una rappresentanza diplomatica nordamericana, assente dal suolo iraniano dal 1979-80, per via della famosa vicenda della presa degli ostaggi all'ambasciata USA a Tehran. Ma non si può nemmeno negare che per la prima volta da allora ci sono stati contatti ufficiali diretti tra i due governi, come ad esempio l'incontro tra i ministri degli esteri dei due paesi, l'Iran e il paese guida dell'Occidente, ovvero gli USA, Zarif e Kerry, così come la telefonata tra i presidenti Rohani e Obama

 

Negli ultimi anni c'erano stati contatti ufficiali e incontri diretti tra i due governi solo per ciò che concerne alcuni meeting in Iraq, finalizzati alla stabilizzazione del paese mesopotamico dopo la caduta di Saddam, negli utlimi mesi del governo Bush. In quel caso però gli incontri erano stati eseguiti attraverso rappresentanti di basso profilo. Negli ultimi anni poi, ci sono stati anche degli incontri in Oman, paese alleato degli USA, ma anche amico dell'Iran, tra Kerry e un rappresentante della Guida iraniana, anche se le due parti smentiscono. Invece i contatti dopo l'elezione di Hassan Rohani sono stati di alto profilo e alla luce del sole, e questa è una svolta senza precedenti negli ultimi trent'anni.

In questi giorni in Iran si celebrano quegli anni di Rivoluzione in modo sobrio, senza l'ardore che caratterizzava questi eventi al tempo del "radicale" Ahmadinejad. Gli slogan nelle piazze sono ancora "morte all'America", ma il nuovo governo iraniano sembra interessato ad altro. Non a caso, la base ideologica dello Stato iraniano, ovvero gli "hezbollahi", i militanti islamici, i volontari ("basiji") e gli altri, qualche milione di iraniani, sia giovani che meno giovani, sono molto critici per quello che riguarda la politica estera di Rohani, così aperta nei confronti di quello che fino a qualche tempo fa era il male assoluto, il "Grande Satana".

L'Iran come si saprà, non è un monolite; se da un lato la borghesia iraniana e una parte consistente dei giovani hanno una visione positiva dell'Occidente, dell'Europa e degli USA, vi sono comunque dei cittadini del paese persiano che hanno ancora un certo pregiudizio ideologico; sono probabilmente quel 10-15 percento di gente che alle ultime elezioni ha votato per Said Jalili, candidato della fazione ultraconservatrice della Repubblica Islamica. In ogni caso non dobbiamo dimenticare che il vero banco di prova per Rohani non è la politica estera, ma la politica economica interna: se gli iraniani hanno votato in modo massiccio per il candidato più alternativo al blocco conservatore tra gli aspiranti, ovvero Hassan Rohani, uomo vicino alla vecchia volpe della politica iraniana, Hashemi Rafsanjani, vero "oppositore interno" della Guida Khamenei, nonché amico di Khatami, presidente riformista, che tra gli anni '90 e fino al 2005, era definito il "Gorbaciov iraniano", non era necessariamente per una apertura verso ovest, ma per risolvere la crisi economica dell'ultimo anno del governo Ahmadinejad, anno caratterizzato da una forte inflazione (arrivata al

40 percento su base annua) e una tremenda recessione, col PIL in caduta rispetto all'anno precedente. E' vero che può esserci un nesso tra i rapporti dell'Iran con gli occidentali e la situazione economica interna del paese. Ma è anche vero che se si chiedesse agli iraniani "preferite una economia solida, al costo di avere cattivi rapporti con gli USA, o preferite un'economia approssimativa, ma buoni rapporti con gli USA?", la risposta sarà "preferiamo condizioni stabili di economia in ogni caso". L'obiettivo, anche comprensibile, dell'iraniano medio, non è necessariamente la cosiddetta "distensione internazionale" (ciò non vuol dire che gli iraniani siano guerrafondai ovviamente), ma è quello di avere un paese prospero, senza questa inflazione galoppante degli ultimi tempi. Con l'avvento di Hassan Rohani la situazione dell'inflazione è migliorata, per modo di dire, e ora, secondo la Banca Centrale di Tehran, sarebbe intorno al 30 percento su base annua.

Recentemente la Guida, Ayatollah Ali Khamenei, pur supportando il governo eletto dal popolo lo scorso giugno, ha detto apertamente che è sbagliato concentrarsi in economia solo ed esclusivamente sull'alleggerimento delle sanzioni internazionali, la maggior parte delle quali imposte dagli USA e dall'Europa in modo del tutto unilaterale ed ingiusto. Quest'anno l'anniversario della Rivoluzione ha un sapore diverso dal solito, in piazza si grida "morte all'America", nel palazzo si sussurra "morte alle sanzioni"; i politici iraniani però non dovrebbero dimenticare chi le ha promosse le sanzioni. Chi ha promosso le sanzioni sono gli stessi governi che hanno negato il diritto del popolo iraniano all'autodeterminazione nel 1953, aiutando il golpe contro Mosaddeq, quegli stessi governi che, parola di Robert Huyser (1), si rammaricarono del fatto che la monarchia iraniana non avesse ammazzato abbastanza dissidenti, cercando così di evitare con più "impegno" la Rivoluzione del '79. E ancora quegli stessi governi che, finanziando e aiutando Saddam, furono alla base della guerra sangunosa tra Iran e Iraq, costata la vita a centinaia di migliaia di persone in entrambi i paesi, per non parlare del grave danno economico inflitto ai due contendenti. Ancora oggi i cimiteri iraniani sono pieni delle bandiere che sventolano sulle tombe dei martiri di quella infame guerra. Il loro sangue non può essere tradito a vil prezzo.

Ali Reza Jalali

 

(1) Robert Huyser fu inviato speciale militare degli USA in Iran negli ultimi giorni della presenza dello Shah in Iran. Egli scrisse un libro, pubblicato anche in Italia, nel quale racconta la sua esperienza. Nel testo emerge con chiarezza che se il governo avesse usato in modo più veemente il pugno di ferro, la Rivoluzione non si sarebbe concretizzata. Al riguardi vedi Robert Huyser, "Missione a Tehran", Mondadori, Milano, 1988, pag. 302.

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