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(ASI) «E’ un nostro dovere unire tutte le fazioni libanesi, ci sono alcune realtà che hanno l’interesse di far precipitare il Libano nel caos e creare conflitti tra musulmani. Nessuno trae vantaggio da questa lotta, se non il nemico israeliano». A parlare è il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, in un incontro con gli studenti universitari libanesi avvenuto la settimana scorsa, proprio nei giorni in cui i violenti scontri di Tripoli si stavano intensificando. «Noi non ci faremo trascinare – ha continuato il numero uno del Partito di Dio - qualunque cosa facciano, non presteremo le nostre orecchie agli insulti. Le persone che incitano alla violenza e alla discordia, alla fine si stancheranno».

 

Non è un segreto che la situazione in Libano si sia evoluta in conformità con gli sviluppi della crisi siriana, ma negli ultimi giorni gli scontri a fuoco si sono allargati, provocando la morte di almeno diciassette persone e il ferimento di altre cento. A Tripoli si fronteggiano alauiti e sunniti nei quartieri di Jabal Mohsen, dove gli abitanti sono sostenitori del presidente siriano, e Bab al-Tabbaneh, dove i residenti si oppongono a Bashar al-Assad.

 

Le tensioni nella città libanese sono scoppiate dopo la morte di ventuno ribelli di Bab al-Tebbaneh, che avevano attraversato il confine con la Siria per unirsi ai militanti, appoggiati da un insieme di gruppi anche non siriani, impegnati nella jihad sunnita che combattono contro il governo. I media libanesi hanno detto che i militanti, uccisi dall’esercito siriano, avevano legami con i gruppi radicali salafiti a Tripoli, ed erano stati inviati in Siria per combattere a fianco dei ribelli.

 

Oggi in una intervista rilasciata al centro italo-arabo Assadakah, il responsabile delle relazioni estere di Hezbollah, Ammar Moussawi, ha dichiarato che «gli attacchi che in questo momento si stanno verificando a Tripoli, a nord del Paese, sono il frutto di pericolose infiltrazioni, che non sono in grado però di intaccare le nostre fila», aggiungendo poi che Hezbollah «collabora con il governo e le forze militari per fare da mediatore. Il nostro ambiente è pulito, non ci sono interferenze integraliste. Chi ci conosce bene in Occidente lo sa: siamo un movimento di resistenza che non ha la cultura della violenza, che tutela i diritti degli individui e se ne fa promotore. La forza si usa solo quando un nemico ci attacca, ed è finalizzata alla difesa».

 

Ora a Tripoli sembra essere tornata la calma e l’esercito libanese ha rimosso i divisori tra i quartieri contesi di Jabal Mohsen e Bab al-Tabbaneh, ma la situazione resta tesa. Negli scontri degli ultimi mesi, decine di persone sono state uccise e ferite nei combattimenti, costringendo molti residenti a lasciare le proprie abitazioni.

 

Il ministero degli esteri russo, in una recente dichiarazione, ha espresso preoccupazione per l’escalation di violenza avvenuta in Libano nell’ultimo periodo. «La leadership libanese – si legge nella nota di Mosca - deve intervenire per evitare un peggioramento della situazione e per risolvere tutti i problemi in un contesto legittimo e attraverso il dialogo. Riteniamo che questa strada pacifica e responsabile di superare la crisi sia perfetta per il Libano e per gli altri Paesi della regione».

 

Fabio Polese – Agenzia Stampa Italia

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