(ASI) Gli Stati Uniti d’America sono, visto il loro prodotto interno lordo, il Paese più ricco del mondo. Eppure anche là ci sono milioni di poveri, che in parte vivono come se si trovassero in un Paese in via di sviluppo. Il 12,7% della popolazione degli Stati Uniti (cioè 37 milioni di persone) vive al di sotto della soglia di povertà.
Molti abitano in baraccopoli, non hanno accesso a scuole buone o ad ospedali moderni. Al contrario i ricchi cittadini americani fanno la bella vita, a scapito del clima mondiale: il 25%, quindi un quarto, dell’effetto serra è provocato dagli Stati Uniti, nonostante il numero degli abitanti corrisponda solo al 4% della popolazione mondiale. La causa della povertà negli Stati Uniti è la ripartizione estremamente ingiusta dei beni. Dopotutto gli U.S.A. sono la patria di gran parte dei miliardari e multimilionari del mondo. Inoltre anche le maggiori multinazionali della Terra hanno lì la loro sede. Sembra che il governo americano segua una politica per gli interessi della minoranza ricca più che per la grande massa della popolazione. Anche la loro politica estera e quella che mira alla sicurezza sono essenzialmente più utili ai grossi gruppi; per esempio l’industria delle armi, che alla protezione dei valori umani. Infatti lo Stato americano spende 500 miliardi di dollari l’anno in armamenti. Il budget per gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo invece ammonta solo a 15 miliardi di dollari. Per quale motivo? Negli U.S.A. sono due i partiti che dominano il sistema politico: quello dei Repubblicani e quello dei Democratici. Dalla metà del XIX secolo tutti i governi e tutti i presidenti degli Stati Uniti hanno fatto parte di uno di questi due partiti. Entrambi hanno in comune la non opposizione agli interessi delle grosse imprese e dei loro proprietari. Le ragioni sono molteplici. Per vincere una campagna elettorale negli Stati Uniti ci vogliono molti soldi. La squadra della campagna elettorale deve essere pagata, ci sono grosse manifestazioni da organizzare e molta pubblicità da fare. Poiché gran parte di questo denaro proviene dalle multinazionali e dai cittadini più benestanti, più tardi il governo sarà parziale: colui che paga decide. ExxonMobil e altre aziende petrolifere sono stati i maggiori finanziatori della campagna elettorale di George W. Bush. Probabilmente è questa la ragione per cui il suo governo ha fatto così poco per la protezione dell’ambiente; se avesse introdotto una tassa ecologica sulla benzina i gruppi petroliferi ci avrebbero rimesso. Non si sputa nel piatto in cui si è mangiato. Inoltre molti membri del governo Bush provenivano dal cosiddetto “big business”. Il vicepresidente americano Dick Cheney, prima del suo incarico politico, era capo della ditta Halliburton, che a sua volta tratta col petrolio. Cheney è stato uno dei maggiori sostenitori della guerra in Iraq e ha fatto in modo che, durante e dopo la guerra, Halliburton ricevesse incarichi di valore di miliardi.
Oltre a ciò la maggior parte dei media degli U.S.A., soprattutto i giornali e le stazioni televisive, sono proprietà di grosse imprese. Le multinazionali Disney, Viacon, CBS, Time Warner, News Corp, Bertelsmann e General Electric controllano più del 90% del settore dei media, e guadagnano i loro soldi principalmente con costose pubblicità. E’ ovvio che i committenti degli spot non gradiscano pubblicità negativa o reportage critici nei loro confronti. Naturalmente il giornalismo non di parte, quello che si adopera per essere obiettivo e serio, esiste comunque. Purtroppo però i servizi critici vengono pubblicati molto più di rado di quanto sarebbe necessario.
Nei media che influenzano fortemente l’opinione pubblica hanno un ruolo troppo limitato, ed è proprio l’opinione pubblica che in una democrazia porta al potere i politici. E da noi la situazione com’è? L’Europa è stata la culla della democrazia, la maggior parte delle nazioni europee sono Stati sociali. Anche da noi il sistema economico è caratterizzato dall’economia di mercato. In più abbiamo una serie di regolamentazioni statali che garantiscono una certa giustizia sociale. Tra le altre abbiamo per esempio tasse e contributi con le quali finanziamo scuole e università, ospedali, sussidi di disoccupazione, assistenza e previdenza sociali. In Germania il principio dello Stato sociale è riportato addirittura nella Costituzione (articolo 20): “La Repubblica Federale Tedesca è uno Stato Federale democratico e Sociale”. Eppure l’evoluzione degli ultimi decenni sta portando a diminuire sempre più le prestazioni in ambito sociale, nonostante sia stato proprio grazie a queste prestazioni che la povertà in Europa è stata quasi completamente superata.
Oggi molti politici sostengono che non ci siano abbastanza fondi per finanziare le costose prestazioni sociali. E’ una colossale bugia. Negli ultimi anni l’Europa è diventata sempre più ricca: nel 1995 il prodotto interno lordo (Pil) per ogni singolo abitante delle attuali 27 nazioni europee ammontava a 15.200 euro, dieci anni dopo era già aumentato a 23.400 euro, quindi era cresciuto di più del 50%. Tuttavia anche da noi sono stati soprattutto i ricchi e i potenti gruppi multinazionali a moltiplicare i loro beni, mentre coloro che appartenevano alle classi sociali inferiori e le piccole aziende sono divenuti sempre più poveri. Le medie e piccole imprese pagano, in confronto ai grossi gruppi, nettamente più tasse e contributi. Eppure sono loro che assicurano i posti di lavoro: “Negli ultimi anni le piccole e medie imprese con meno di 500 dipendenti hanno creato 5 milioni di nuovi posti di lavoro, mentre aziende con più di 500 dipendenti hanno tagliato 5 milioni di posti”, queste le parole del presidente dell’Unione Europea degli imprenditori (SME Union) Christoph Leitl. Le multinazionali sono di solito imprese quotate in borsa, delle quali privati o istituzioni; ad esempio banche, possiedono partecipazioni sotto forma di azioni.
Questi proprietari vengono definiti anche shareholder. Ogni gruppo multinazionale deve procurare ai propri sharholder molti profitti nel minor tempo possibile, altrimenti costoro compreranno le azioni di altre imprese. Al contrario delle piccole ditte locali, grazie alle loro dimensioni le multinazionali hanno il potere di mettere sotto pressione i governi di singoli Paesi. Possono minacciarli, ad esempio, di trasferire la loro produzione in Paesi con tasse, stipendi e standard ecologici più bassi. Anche i proprietari di capitali depositano i loro patrimoni sempre più spesso su conti anonimi nei cosiddetti paradisi fiscali, in Paesi come il Liechtenstein o le isole Bahamas, che impongono minime tasse o non ne impongono affatto. Per paura di questo scenario , gran parte dei governi riduce talmente tanto gli standard sociali ed ecologici e le tasse su patrimonio e utili, che proprio coloro che guadagnano molto e i potenti dell’economia non contribuiscono quasi più al finanziamento dello Stato e del sistema sociale.
In Germania gli utili delle imprese e i redditi patrimoniali sono aumentati del 31% dal 2000 al 2005. Le imposte pagate su questi redditi nello stesso lasso di tempo sono invece diminuite del 10%. La stessa evoluzione diventa visibile in modo ancora più drastico se si guarda ancora più indietro: tra il 1960 e il 2006 le tasse sugli utili delle imprese e sul patrimonio sono diminuite dal 20 al 7,1%. L’imposta sul reddito da lavoro dipendente nello stesso periodo invece è aumentata dal 6,3 al 16,3%. L’imposta sulle persone giuridiche, di cui si è discusso molto e con la quale vengono tassati gli utili delle imprese, dal 1980 al 2007 è diminuita in tutta Europa dal 45 al 24%. Nello stesso periodo, l’aliquota più alta per i redditi maggiori è diminuita dal 62 al 48%. E’ questo che vogliamo? Dall’altro lato, persone normali e piccole imprese pagano sempre più tasse e contributi, nonostante traggano sempre meno vantaggi dal nostro sistema sociale. Nel 1980 la somma delle imposte e dei contributi sul reddito da lavoro dipendente ammontava a circa il triplo delle tasse sul capitale, nel 2003 aveva raggiunto il sestuplo. Un insegnante e un operaio non possono dire così facilmente: “Bè, allora mi trasferisco in un altro Paese dove pago meno tasse”. I 55 miliardari tedeschi possiedono insieme un patrimonio di 180 miliardi di euro. Questa somma raggiunge quasi l’ammontare dell’intera dell’intera Germania, cioè della cifra che lo Stato ha a sua disposizione in un anno per le spese: nel 2006 erano circa 260 miliardi di euro per questioni di lavoro e sociali, 8 miliardi per l’istruzione e 4 miliardi per gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo. Le spese per i cittadini più indigenti nello stesso anno ammontavano a 30 miliardi di euro scarsi, e ogni beneficiario doveva cavarsela con 345 euro al mese.
Davide Caluppi – Agenzia Stampa Italia
Fonte: www.attac.it
“Il libro che le multinazionali non ti farebbero mai leggere” di Klaus Werner-Lobo
ASI precisa: la pubblicazione di un articolo e/o di un'intervista scritta o video in tutte le sezioni del giornale non significa necessariamente la condivisione parziale o integrale dei contenuti in esso espressi. Gli elaborati possono rappresentare pareri, interpretazioni e ricostruzioni storiche anche soggettive. Pertanto, le responsabilità delle dichiarazioni sono dell'autore e/o dell'intervistato che ci ha fornito il contenuto. L'intento della testata è quello di fare informazione a 360 gradi e di divulgare notizie di interesse pubblico. Naturalmente, sull'argomento trattato, il giornale ASI è a disposizione degli interessati e a pubblicare loro i comunicati o/e le repliche che ci invieranno. Infine, invitiamo i lettori ad approfondire sempre gli argomenti trattati, a consultare più fonti e lasciamo a ciascuno di loro la libertà d'interpretazione