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Usa. Pena di morte, effetto di una cultura da ripensare

(ASI) Negli Stati Uniti, tutti i riflettori mediatici sono puntanti sui volti sorridenti e lucidati di Barack Obama e Mitt Romney, impegnati a transitare in lungo e in largo per accaparrarsi consensi in vista delle elezioni presidenziali. Il nuovo slogan del presidente uscente è “Forward”, ossia “Avanti”. Un invito, un auspicio, una scarica di energia finalizzata a rassicurare gli americani, scoraggiati dal persistere di una crisi che sta seriamente indebolendo il mito a stelle e strisce. Eppure, al di là dei tempi che corrono, c’è un’America che non ha bisogno di proclami, poiché avanti continua a guardarci con gli occhi di sempre; iniettati di sangue. E’ l’America del boia, una figura che in trentaquattro dei cinquanta Stati degli Usa non teme di finire senza lavoro. Nel biennio 2010-2011 le esecuzioni capitali sono state ottantanove. Un rapporto dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” spiega che sul suolo americano viene eseguita un’esecuzione capitale ogni settimana, nonostante negli ultimi anni l’abolizione decisa da alcuni Stati abbia fatto registrare un calo a livello nazionale (ancora nell’anno 2009 le esecuzioni furono ben cinquantadue).

Oggi, 10 ottobre, si celebra la nona edizione della Giornata mondiale contro la pena di morte, istituita nel 2003 dalla ''World Coalition against the death penalty'' e volta ad instaurare un processo di sensibilizzazione nei confronti dell'intera comunità internazionale. Il Parlamento europeo ha garantito di mantenersi vigile sul tema, a conferma del sostegno - votato in più occasioni - che Strasburgo ha rivolto alla Moratoria universale della pena di morte, ratificata anche dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2007. Un particolare monito l’Europarlamento lo lancia nei confronti di Stati Uniti, appunto, e Giappone, due influenti Stati, elevati al rango di esser considerati democratici e liberali, ma che contemplano nei loro ordinamenti giuridici la pena di morte, ugualmente a quanto avviene in quegli Stati incolpati di esercitare la propria autorità in modo oppressivo.

Nel Texas, lo Stato americano in cui il boia è più impegnato, il prossimo 18 ottobre avverrà l’esecuzione di un diciannovenne afroamericano, tale Anthony Haynes, accusato di aver ucciso un agente di polizia fuori servizio. “Nulla può giustificare l'atto di Haynes ma nulla può giustificare anche la sua condanna a morte”, scrive l'Europarlamento, parafrasando l’opinione che Cesare Beccaria espresse nel suo volume Dei delitti e delle Pene tre secoli fa. “Parmi un assurdo che le leggi - scriveva il letterato italiano nel XVIII secolo -, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio”.

Quando Beccaria scriveva queste riflessioni, nel 1764, gli Stati Uniti erano ancora una colonia britannica, una superpotenza in fieri che appena dodici anni più tardi, nel 1776, avrebbe avuto l’ardire e la capacità di ribellarsi a Londra dichiarando e conquistando la propria indipendenza. Un atto di forza, il primo, forse il più legittimo, di una serie destinati a persuadere il mondo circa la “hybris” degli Stati Uniti, la tracotanza di una nazione che decide di porsi su di un livello che trascende la dimensione terrena. Così da arrogare alla volontà umana il diritto di farsi supremo giudice d’ogni azione, compreso l’arbitrio sulla vita e sulla morte del prossimo. L’ennesima potenza di quel processo di scioglimento d’ogni legame con Dio che visse una fase cruciale con l’ascesa dell’Illuminismo (ironia della sorte, proprio la corrente culturale di cui l’oppositore alla pena di morte Beccaria fu illustre esponente). Gli Stati Uniti sono soltanto l’espressione politica, la più estesa e imperialista, di questa cultura. Per arginare il turpe fenomeno della pena capitale occorre un profondo ripensamento sulle cause che la originano, sulla cultura di morte che vi si cela dietro e che liberamente si insinua ai vari livelli delle società. Altrimenti non ne bastano trecentosessantacinque di giornate all’anno come quella di oggi. Lo sappiano i radicali di “Nessuno tocchi Caino”, i quali combattono la pena capitale ma avallano le missioni militari americane e promuovono l’aborto. Altre abominevoli manifestazioni della stessa cultura di morte.

Federico Cenci – Agenzia Stampa Italia

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