L’origine del problema si rinviene sia nell’aumento dell’indice demografico che negli ultimi anni ha registrato un vertiginoso incremento della popolazione mondiale che, soprattutto, nella siccità generata dai cambiamenti climatici. Proprio il fenomeno della siccità, che fino ad oggi è stato tra le cause primarie della carestia alimentare (fenomeno che durante la crisi del 2007/2008 ha interessato un miliardo di persone circa – dati FAO), si potrebbe nuovamente abbattere come una scure sulle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, predestinati a subire le immediate e dirette conseguenze di questa problematica. Dal rapporto emerge, infatti, che il Nord Africa, il Medio Oriente e l’Asia del Sud potrebbero essere le potenziali aree di crisi. Si evidenzia, infatti, che le acque di ben otto fiumi «nei prossimi anni saranno usate come leva di potere per affermare interessi nazionali, al pari di un’arma in mano a eserciti o gruppi terroristi». I bacini di grandi fiumi come il Nilo, il Tigri, l’Eufrate, il Giordano, l’Indo, il Brakmaputra, il Mekong e l’Amu Darya potrebbero, allora, trasformarsi in campi di battaglia sui quali ridefinire gli equilibri geopolitici del nuovo millennio. Al momento, il Nilo è il fiume maggiormente interessato dal problema poiché le popolazioni dei paesi che risiedono lungo il suo corso risentono fortemente sia della problematica della siccità quanto della crescita demografica. Il sovrappopolamento e la carenza di piogge in paesi come Etiopia, Eritrea, Uganda, Kenia, Tanzania, Congo, Burundi e Ruanda, sta mettendo a repentaglio lo “status quo” definito dagli accordi coloniali del 1929 che garantiscono ad Egitto e Sudan il 90% dell’acqua del Nilo, generando tensioni fra Khartum e il Cairo. Nel 2010, pur attivandosi la diplomazia di questi stati per ridefinire gli accordi per lo sfruttamento delle acque del grande fiume, non è stato raggiunto alcun risultato concreto, inducendo così i paesi interessati ad intraprendere iniziative unilaterali sullo sfruttamento delle acque. Se, al momento, la questione può essere circoscritta a livello regionale, ciò non toglie che con il corso degli anni essa possa assumere dimensioni globali tali da causare considerevoli capovolgimenti di scenario che andrebbero a modificare gli assetti geopolitici di quelle nazioni da cui i fiumi hanno origine e che, in ragione di ciò, assurgerebbero a vere e proprie potenze. Oltre al bacino del Nilo, tale situazione potrebbe interessare anche l’Indo generando ulteriori tensioni tra India e Pakistan, nonché il Tigri e l’Eufrate producendo nuove escalations di violenza nel quadrante mediorientale.
La questione della carenza di risorse idriche andrebbe pertanto affrontata con un approccio multipolare che privilegiasse il principio di cooperazione tra stati regionali al fine di intraprendere un proficuo rapporto di partenariato. Al contrario, un differente approccio fornirebbe agli Stati Uniti l’opportunità di ricoprire il ruolo di potenza egemone e di esercitare un hard power economico basato su un partenariato strategico sviluppato dalla vendita del know-how a quegli stati che non possiedono le capacità tecniche per prevenire il venir meno delle già esigue riserve idriche. Un approccio unipolare creerebbe, infatti, squilibri tali da generare quasi sicuramente lo scoppio di conflitti armati.
In definitiva, oltre ad un approccio multipolare e condiviso è auspicabile un maggiore e più incisivo intervento delle grandi organizzazioni internazionali finalizzato a promuovere politiche di sviluppo atte a produrre effetti immediati sull’annosa questione dei cambiamenti climatici generatori di questo e di molti altri preoccupanti problemi.
Filippo Romeo – Agenzia Stampa Italia