Il ritorno sulla scena internazionale della Russia al fianco dei popoli in lotta per la propria libertà
(ASI) Febbraio 1989, gli ultimi blindati dell'Armata Rossa lasciano definitivamente il territorio della Repubblica democratica dell'Afghanistan. Dopo oltre nove anni di intervento a difesa del popolo afghano dalla guerriglia dei mujaheddin, armati, finanziati e sostenuti da potenze straniere (Stati uniti d'America, Pakistan e Arabia saudita ma anche Iran), l'Unione sovietica si vedeva costretta a ritirarsi da un conflitto che aveva causato oltre 20mila morti tra i militari sovietici. Ventimila ragazzi caduti combattendo in nome dell'internazionalismo proletario e della fratellanza tra i popoli ma anche per proteggere i confini della propria Patria socialista dall'aggressione dell'imperialismo occidentale. Il resto è storia nota: pochi mesi dopo quella data il blocco sovietico si sarebbe rapidamente dissolto con l'implosione delle Democrazie popolari e il successivo collasso della stessa Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Venuto meno l'Urss, nel 1992 anche la democrazia afghana avrebbe ceduto all'offensiva dei fondamentalisti islamici e le conquiste sociali, culturali ed economiche, ottenute negli anni della rivoluzione socialista, sarebbero state spazzate via in un sol colpo. Un feroce oscurantismo religioso e la povertà più assoluta sarebbero piombati su una popolazione civile già martoriata dalla guerra.
Con il crollo dell'Unione sovietica, il mondo è rimasto per anni in balia dell'unica superpotenza sopravvissuta alla Guerra fredda. Da allora, la stessa drammatica sorte dell'Afghanistan è toccata a tanti altri Paesi colpevoli di non voler sottostare ai voleri e ai dettami del 'gendarme del mondo'. Ultimo in ordine di tempo la Siria. Ma a sbarrare la strada ai piani dell'imperialismo, i moderni 'mujaheddin' hanno trovato la tenacia e l'eroismo del popolo e dell'esercito della Repubblica araba siriana. Una epica resistenza che non sarebbe stata possibile, però, senza il decisivo supporto politico e materiale di una Russia risorta dalle sue rovine. L'Unione sovietica si è dissolta e a governare il Paese non c'è più il Partito comunista. L'azione politica russa non si ammanta più dell'ideologia marxista-leninista ma, evidentemente, molti dei valori che guidavano la società russa per oltre 70 anni non sono scomparsi nel vuoto. Oggi in Russia non si parla più di socialismo o di pianificazione economica ma c'è una bandiera che è stata raccolta da una nuova classe politica decisa a non chinare più la testa di fronte all'arroganza e all'aggressività 'yankee'. È la bandiera della libertà dei popoli e della difesa delle sovranità nazionali, da sempre portata in alto dalle forze progressiste, socialiste e di 'sinistra'. La Russia è oggi più che mia decisa a difendere questi valori in Siria come nel resto del mondo. È quanto emerso dal discorso tenuto dal presidente Vladimir Putin alle Nazioni unite durante le celebrazioni per il 70° anniversario dell'Onu. Parole apprezzate e condivise da sempre più Paesi nel mondo. È quanto dimostra il sempre maggiore e concreto impegno nel contrasto al terrorismo in Siria.
Dall'altre parte della barricata, dietro alle sigle che richiamano al fanatismo islamico, c'è ancora una volta il nemico di ieri in Afghanistan. Ci sono ancora i 'Rambo' e i 'Ronald Reagan' ad armare e sostenere i 'Bin Laden' di turno. Ci sono ancora gli stessi che devastarono e martirizzarono la Corea e il Vietnam, gli stessi che considerano l'America Latina il proprio 'cortile di casa', gli stessi che si ritengono in diritto di fare 'il bello e cattivo tempo' ovunque gli aggradi, gli stessi che dalla fine della Seconda guerra mondiale occupano militarmente e politicamente l'Europa.
La Russia non sarà più il Paese dei Soviet a cui i lavoratori di tutto il mondo guardavano fiduciosi come avanguardia del socialismo nel mondo, ma è riuscita comunque ha portare tra gli uomini liberi la speranza di un mondo più giusto.
Nicola Torrini
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