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Il mercato del lavoro italiano e la sua crisi: troppe attese e pochi fatti

(ASI) Dopo la splendida analisi del Segretario Provinciale di Fiamma Tricolore di Reggio di Calabria, Giuseppe Minnella, apparsa sul quotidiano Rinascita il 12 gennaio scorso, e i suggerimenti de “Il Pungitopo”, pubblicati puntualmente da Agenzia Stampa Italia il 18 gennaio, è d'uopo spendere qualche parola sul presente stato delle cose circa il mercato del lavoro, tra promesse, parole e fatti.

Partendo da un presupposto comune, ossia la crisi economica globale di marca anglosassone esportata in Europa dal 2008 in poi, assistiamo da tempo allo sciacallaggio della nostra economia, alla svendita dei pochi gioielli di famiglia, ossia le aziende strategiche per il fabbisogno nazionale e alla completa desertificazione del mercato lavorativo.

Improvvisamente, un Governo Tecnico dovrebbe risolvere dei problemi di elevatissimo spessore che permangono ormai dall'introduzione dell'Euro. Il Pacchetto Treu di marca prodiana e la legge Biagi di stampo berlusconiano, aventi entrambi il medesimo obiettivo, hanno distrutto le sicurezze su cui si poggiavano tutte le generazioni precedenti; in poche parole, il lavoro, da sicuro è passato a chiamata, ad intermittenza, è stata introdotta la precarietà d'ufficio, per rendere schiave intere realtà economiche. Tornare indietro, cercando di applicare il cosiddetto contratto “permanente”, come propongono i tre sindacati nazionali, sarà impresa difficilissima, dal momento che le aziende hanno stabilito che le figure professionali preferibili, a costo nullo o minimo, sono gli stagisti, o coloro che possono vantare potenti sgravi fiscali. Ed è giusto soffermarsi su questo punto: non tutte le aziende italiane sono in crisi, ma avendo acquisito la mentalità “da crisi”, assumono al momento solamente soggetti in possesso dei seguenti requisiti: mobilità, apprendistato, stage (finalizzato ad un inserimento che il più delle volte non avverrà) e inserimento al lavoro.

Si può notare che l'85% rimanente è escluso dalla possibilità di un'assunzione, non rientrando nelle suddette categorie. Ed è veramente difficile rientrarvi, in quanto non tutti i lavoratori sono in età di apprendistato, sono idonei per uno stage o provengono da un fallimento. Oltretutto, se si considera la crisi come un fenomeno permanente, è una scusa plausibile per evitare ogni altra forma di assunzione che non sia corredata di forti sgravi fiscali del lavoratore.

Siamo inoltre passati, come notava il Minnella su Rinascita, da una società che produceva ricchezza e prodotti tangibili, ad una società di servizi virtuali o finanziari, matematicamente senza consistenza reale. Il call center, rifugio del disoccupato nostrano sino a 6 – 7 anni orsono, è scomparso dai siti delle ricerche di lavoro, nonché nelle richieste dei centri per l'impiego. Le agenzie interinali, oltre ad esporre nelle loro bacheche offerte che non corrispondono alla realtà, prive di sovvenzioni governative hanno chiuso moltissime delle loro sedi.

Nessun governo si è sinora prodigato né per il ripristino del lavoro permanente, né contro la delocalizzazione delle imprese. In pratica, l'azione di uomini concreti dovrebbe poggiarsi su direttive quali: cancellazione della Legge Biagi e ripristino di una contrattualistica permanente, che garantisca prospettive normali ad un lavoratore; conseguente riforma del mercato del lavoro, dove il fattore trainante non sia la flessibilità all'italiana, ma il modello antecedente al 1992; disincentivare la delocalizzazione per favorire l'occupazione italiana; sit – in con le aziende affinché cambino la mentalità acquisita sinora, per l'assunzione globale e meritocratica dei lavoratori e non solo in base alle loro possibilità di sgravi fiscali.

Non giova ricordare che l'ultimo studio della CGIA di Mestre, diretta da Giuseppe Bortolussi, afferma che il numero dei disoccupati dichiarati dalle fonti ISTAT o governative non coincide con quello reale, in quanto esiste un esercito di “scoraggiati” che non cerca più un'occupazione. Sono privi di ogni convinzione di trovarlo, in un mercato che li esclude a priori. Questo è un altro indice per un'azione efficace, per affrontare una delle più grandi crisi economiche sinora mai apparse.

Di conseguenza si passerà al salario minimo garantito, ma prima, urge il rilancio della contrattualistica e il cambiamento di mentalità delle aziende stesse: il lavoro a chiamata non è più concepibile, e risultati sono a portata di mano.

 

 

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