(ASI) Diciamocelo: da una settimana la nostra sovranità (nostra di Popolo italiano) ha perso peso ed importanza. Le prime dichiarazioni della politica nostrana circa le dimissioni di Silvio Berlusconi non hanno riguardato (se non in minima parte) il veto popolare, bensì il 'prestigio' dell'Italia agli occhi di nazioni come Francia e Germania, il cui centrismo è distante dai reali problemi del Paese.
Il giudizio di Sarkozy e della Merkel conta molto di più di quello della gente. Ed ecco comparire, infatti, all'orizzionte Mario Monti, capo di quell'esecutivo tecnico tanto agognato da Parigi e Berlino. Indiscrezioni di Le Monde (riportate da Il Messaggero in un articolo del 14 Novembre scorso) parlavano di un Nicolas Sarkozy giunto ad interessarsi oltremodo alle dimissioni di Berlusconi e alla svolta 'montiana'. Va bene che le indiscrezioni giornalistiche debbano essere prese con le molle, tuttavia la proposta del presidente d'oltralpe di concedersi un viaggio in Italia al fine di fare opera di convincimento a beneficio di Monti, qualche perplessità la lascia. Nel 1999, appena nominato Commissario Ue, il professor Monti subì un attacco da parte del leader radicale Marco Pannella, il quale lo accusava di essere espressione dei 'poteri forti'. Emma Bonino, candidata per il medesimo incarico, rimase tagliata fuori. Di quelle calde giornate resta il ricordo di una citazione: "Di poteri forti non ne conosco, eccetto uno: l'Europa".Una definizione sarcastica ma altrettanto chiara e risoluta: l'Ue come forma di potere istituzionalizzato, pronta a prendere decisioni talvolta (anzi, è meglio dire spesso) non in linea con le necessità o i bosogni dei paesi membri. Un esempio, a questo proposito, è stato in passato la violazione del marchio made in Italy dei prodotti gastronomici molto esportati ed apprezzati in tutto il mondo. Prodotti caseari che, grazie all'Unione, sarebbero stati prodotti in Belgio o in Francia, a costo basso e a completo svantaggio dell'industria e del commercio nostrano.Ancora più eclatante il desiderio di un allargamento dei confini alle nazioni dell'ex blocco sovietico che, nel nome dell'Europa dei popoli, sono ora costrette a sottostare a rigide imposizione che, ad economie già non particolarmente floride, arrecano più danno che non reale stabilità. Che fine ha fatto quel mito di Europa Nazione che ha animato i "sei giorni e sei notti di gloria" di Budapest; dove è finita quell'idea di un conteninte che affonda le sue radici in una storia millenaria? L'immagine delle fiamme che avvolgono un giovane praghese in piazza San Venceslao non è ancora sopita dopo quarant'anni e, nelle menti degli uomini liberi ed onesti, echeggia con tutta la sua forza simbolica: morire in nome di qualcosa che va ben oltre il mercantilismo e una moneta unica, piccoli privilegi legati non a tradizioni e valori ma ad un sistema economico che distrugge il senso del lavoro, del sacrificio e della partecipazione alla vita e alla costruzione della nazione europea.Non è certo questa l' Unione di popoli liberi sognata da Jan Palach. L'Ue è oggi una federazione esclusivamente politica che, pur non avendo più dogane, mantiene alte frontiere di diffidenza e speculazione. L'atteggiamento di francesi e tedeschi non deve meravigliare, poiché il passare dei secoli non ha limitato o modificato il desiderio egemonico sul continente: laddove ora sarebbe impossibile avanzare con la guerra, lo si fa con altre forze, meno dispendiose in termini di uomini e mezzi e molto più redditizie.Nel frattempo, in Italia, benpensanti e deputati progressisti esultano al cambio di rotta, convinti che ottenere il placet franco tedesco permetta una rapida ripresa del Paese.Idiozie degne di una classe dirigente incapace ed estorofila, più preoccupata alle relazioni internazionali che non a sviluppare strategie a beneficio del popolo italiano.Lo scorso sabato la sinistra ha festeggiato la propria disfatta. L'avvento di Monti ha svelato il bluff di un'opposizione per tre anni senza alcun progetto e alcuno scopo, mantenuta dai contriuenti nella speranza meschina di rovesciare un governo legittimamente eletto.
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