La valle dell’Eden di Steinbeck al Morlacchi di Perugia

La valle dellEden foto di Brunella Giolivo 1 copy(ASI) Perugia - Un inno al dolore, una lama che ti penetra nella carne, una risata che ti porge conforto nel momento più cupo, la verità crudele detta da un amico coraggioso, la follia di un amore sbagliato, figli cui tramandare il peggio di te stesso e molto altro ancora nell’allestimento teatrale andato in scena al Morlacchi di Perugia dal 27 novembre al 1 dicembre 2019.


Prodotto da Emilia Romagna Teatro, Teatro Metastasio di Prato e Teatro Stabile dell’Umbria, l’opera di John Steinbeck, diretta da Antonio Latella che cura anche l’adattamento insieme a Linda Dalisi, è di quelle che fanno male.
Mentre guardi, mentre ascolti, mentre stai seduto al buio della sala, pensi che anche a te è successo qualcosa di quello che scorre sul palcoscenico. Non tutto (sarebbe un disastro), non ogni personaggio (saresti l’essere più poliedrico dell’umanità), ma qualcosa lo hai vissuto anche tu. L’umiliazione è il filo conduttore del racconto. Come un padre umilia e separa i suoi figli, come una donna può distruggere un uomo con una serie infinite di umiliazioni, come un fratello umilia l’altro anche se vorrebbe metterlo in guardia, ma non riesce a parlare sinceramente. Il dolore pervade tutto lo spettacolo ed il male sembra ineluttabile. Ma sotto la brace della sofferenza cova potente la libertà, che palpita ad ogni angolo, che scalpita, desiderosa di emergere, irrinunciabile, invincibile.
Lo spettatore ha voglia di gridare, di avvisare, di mettere in guardia. L’ineluttabilità del male non si tollera, non si accetta. Ci deve essere qualcosa di più forte, ci deve essere un motivo.
Il saggio domestico Lee, costretto a fingere una stupidità che non gli appartiene, svela il mistero e rivela come ognuno di noi intraprende un viaggio che parte dal bisogno di amore, naufraga nel rifiuto, ristagna nella rabbia del dolore ed esplode nella vendetta.
Ma nel cuore dell’uomo c’è dell’altro, c’è qualcosa che chiama ad una vita diversa. Anche Steinbeck qui s’inganna. Non siamo, infatti, figli di Caino, perché non discendiamo da lui, ma da Set, il figlio che Adamo ed Eva ebbero dopo Caino e Abele. La storia non finisce con il male, anche se ci piacerebbe, sotto sotto, così la colpa è sempre di qualcun altro.


Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia

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