Una coproduzione dei Teatri Stabili di Catania e di Napoli,in scena al Verga (1-17 aprile) e al Mercadante (20 aprile – 1 maggio).

La tragedia rivive nella lettura cristologica del regista Giuseppe Dipasquale

(ASI) CATANIA – Per Mariano Rigillo la sfida è ora la più apocalittica delle tragedie del Bardo, Re Lear, anzi Lear, la storia. Il grande attore napoletano e il regista Giuseppe Dipasquale proseguono la loro collaborazione artistica nel segno di un’altra ambiziosa avventura teatrale, sulla scia del successo nazionale riportato per ben tre stagioni in tournée con Erano tutti miei figli di Arthur Miller.

Nel quarto centenario della morte di Shakespeare, che si celebra nel 2016 sui palcoscenici di tutto il mondo, Mariano Rigillo, classe 1939, approda al ruolo del Rec "sacro" con l’autorevolezza acquisita in quasi sessant'anni di straordinaria carriera, ed esattamente mezzo secolo dopo il suo primo incontro con il drammaturgo di Stratford-upon-Avon, avvenuto con Il mercante di Venezia, nel 1966 al Teatro Valle di Roma, regia di Ettore Giannini. «Lear - sottolinea Rigillo - è l’incarnazione di chi pretende il bene assoluto; in questo senso è il compendio di tutte le "autorità" del teatro elisabettiano».

A sua volta Giuseppe Dipasquale, pluripremiato regista e direttore del Teatro Stabile di Catania, prosegue l’esplorazione dei capisaldi della drammaturgia universale, che nell’ultimo periodo lo ha visto affrontare con profondità testi come I giganti della montagna di Pirandello e Il giardino dei ciliegi di Cechov.

Di Lear, la storia Dipasquale ha curato anche l’adattamento avvalendosi della traduzione di Masolino d’Amico. La nuova coproduzione, realizzata dai Teatri Stabili di Catania e di Napoli, debutterà in prima nazionale nel capoluogo etneo al Verga, dall’1 al 17 aprile, e sarà quindi in programmazione nella città partenopea al Mercadante dal 20 aprile al 1 maggio. Proprio durante la programmazione di Napoli cadrà l’anniversario della morte di Shakespeare, scomparso il 23 aprile 1616.

Accanto a Rigillo un cast di qualità che schiera Anna Teresa Rossini (il Matto), Sebastiano Tringali (Gloucester), David Coco (Edmund), Filippo Brazzaventre (Kent), Silvia Siravo (Cordelia), Giorgio Musumeci (Edgar), Luigi Tabita (Regana), Cesare Biondolillo (Re di Francia/Oswald), Enzo Gambino (Curan), Roberto Pappalardo (Goneril). Le scene sono dello stesso Dipasquale in consonanza creativa con le opere in scena realizzate da Angela Gallaro, che ha concepito anche i costumi. A firmare le musiche è Germano Mazzocchetti, i movimenti scenici Donatella Capraro, le luci Franco Buzzanca.

Il plot principale di Lear e il subplot di Gloucester convergono verso una rovina inesorabile: «La corruttela contagiosa – evidenzia il regista – deriva dal gesto dell'abdicazione, ad uso e consumo dei personaggi assoluti, come in una tragedia greca. Con la divisione del regno esplode anche la patriarcale partenogenesi del potere: una concezione tutta maschile che Lear trasmette alle figlie e le porta fagocitare in sé gli inesistenti consorti, facendosi, esse stesse, maschi e femmine insieme: da qui la scelta dei ruoli che, elisabettianamente,verranno rivestiti da interpreti maschili. L'affermazione catartica del superamento del dolore, che non è proprio una vittoria del bene sul male, avverrà attraverso il sacrificio della morte. Il sangue dei giusti può lavare i peccati del mondo. In ciò può inaspettatamente ravvisarsi una soluzione cristologica del Bardo, che non può essere compresa se non nella visione più laica. Non Cristo come Salvatore del mondo, ma come incarnazione, reificazione dell’uomo nel Divino. Una forma sublime di tracotanza rovesciata: il Dio si fa carne e nello stesso tempo si corrompe in essa. Lear è la carne del divino che sente di essere. L'abdicazione corolla la sua tracotanza: mi spoglio del mio regno - che è il corpo del re – per rendermi solo divino.»

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