(ASI) Cosa significa, oggi, fare musica negli USA e in Italia, sul piano non solo artistico e culturale, ma anche tecnico-professionale, guardando specialmente alle diverse professionalità che vi partecipano? Ascoltiamo un diretto protagonista di questo campo, l' italiano Massimo Litterio Maggiore. Romano, 29 anni, laureato in Ingegneria gestionale a Tor Vergata, in possesso anche d' un diploma di ingegnere del suono rilasciato da una struttura privata, Maggiore dal 2016 vive negli USA: dove sta facendo importanti esperienze nel mondo della musica.
D. Massimo, tu da 3 anni vivi negli USA, ora esattamente a Los Angeles, lavorando in due studi di registrazione, e suonando anche, come chitarrista, in due band emergenti. Qui vorrei parlare soprattutto del tuo lavoro di ingegnere del suono, in studio: in cosa consiste?
R. Questa figura professionale è sempre esistita anche in Italia: è colui che si occupa proprio di incidere la musica in studio di registrazione. Qualunque artista che ha lavorato in studi di registrazione, o comunque registrato musica a livello professionale, ha avuto a che fare con un ingegnere del suono: se esiste musica “registrata”, in passato solo su vinile, poi su cassetta e cd, e’ grazie appunto a questa figura professionale, che non è diffusa ma è essenziale alla produzione musicale.
D. Ma come riesci a conciliare, nella tua attività, l'aspetto artistico da chitarrista con quello professionale da ingegnere del suono?
R. Per me e’ stato un passaggio abbastanza scontato, in quanto anche ingegnere gestionale. Sono due professioni che sembrano opposte, ma che invece si completano sotto molti aspetti. Capire fisicamente come si trasmette il suono, infatti, mi ha aiutato come chitarrista in una ricerca piu’ ragionata e efficace di suono, timbro; mentre come ingegnere, in questo modo ho anche un background musicale che mi aiuta a dialogare, capire e intuire meglio le esigenze dell’artista con cui sto lavorando.
D. E che differenze ci sono, tra lavorare come ingegnere del suono in Italia e farlo negli USA, in termini sia di mercato che di deontologia professionale?
R. Tutto ruota attorno al mercato, come per ogni professione. La mia scelta di trasferirmi a Los Angeles in parte è dipesa anche da questo. Ovviamente, a Los Angeles si alza il livello di competizione, in quanto e’ una citta’ epicentro mondiale dell’industria musicale. Io personalmente mi sto occupando di registrare band e artisti nel panorama americano e internazionale (anche se inizio a lavorare pure in altre produzioni), ma, per capire le reali dimensioni di questo mercato, basti pensare a come oggi la musica e’ veicolo di espressione multimediale, anche tramite film, serie TV e videogiochi. E si capisce come vi sia un mercato enorme anche in Post Produzione. Qualunque grande produzione, in effetti, e’ qui a Los Angeles: Disney, Warner Bros, Universal, Netflix, Capitol Records, Paramount…
D. Obbiettivamente, le attrezzature di lavoro e l'organizzazione stessa degli studi di registrazione, sono allo stesso livello, in Italia e negli States?
R. Come si puo’ intuire, assolutamente no. Vi e’ la stessa differenza che c'è tra una produzione cinematografica nostrana e una appunto hollywoodiana. E non e’ solo una questione di attrezzature incredibili e storiche, che qui hanno fatto la storia della registrazione: ma anche di persone che hanno frequentato questa industria per una vita, e hanno accumulato esperienze e conoscenze, da cui cerco di imparare il piu’ possibile.
D. E in quasi un anno di lavoro, seguìto ai due di studi, quanto sei riuscito ad inserirti nel panorama musicale, e quali esperienze esattamente hai acquisito, da ingegnere del suono?
R. Adattarsi ad un’altra cultura chiaramente non e’ facile, soprattutto se si tratta di una cosi variegata come quella americana: ma e’ una sfida altrettanto affascinante. Lavorando in questi studi di registrazione, ad ogni sessione mi interfaccio con un cliente diverso per musica e tipo di lavoro richiesto. Quest' esperienza mi sta permettendo d' ampliare molto le mie conoscenze tecniche e artistiche; oltre che, spero, di fornire ogni volta un lavoro che lasci l’artista contento. Inoltre mi sto costruendo, passo dopo passo, anche un giro di clienti (artisti) con cui lavorero’ in progetti nei prossimi anni. Sto scalando la mia montagna.
D. E in questo lavoro, quali nomi della musica americana hai avuto modo di conoscere?
R. Ho avuto modo di lavorare all’ultimo album di Walter Trout (attualmente numero 1 nelle classifiche blues di Billboard), grazie al presidente e produttore Eric Corne, dell’etichetta discografica FortyBelow Records, che mi ha incluso nel progetto; e poi nomi come John Mayall, SugarRay Rayford, Sigur Ros, Royal Blood, Tiger Army, Kurt Vile, Tokyo Police Club (il gruppo musicale indierock canadese nato nel 2007 a Toronto, N.d.R.) e tanti altri. Ho avuto modo di conoscere e scambiare opinioni con artisti e produttori che qualche anno fa guardavo solamente su un palco, da lontano, con altre migliaia di persone.
D. E a un ragazzo piu' piccolo di te (che hai 29 anni), che avesse anche lui una “duplice” passione per la musica, cioè sia per suonare che per l'arte di registrarla, ma non volesse andare Oltreoceano, cosa consiglieresti, per affermarsi in Italia?
R. Permettimi una considerazione. Consiglierei a chiunque, in qualunque professione nel mondo di oggi, di fare almeno un’esperienza all’estero. Detto questo, consiglierei anzitutto di frequentare ambienti musicali, andare a sentire musica e band emergenti e tentare di conoscere quelle persone e realtà che fanno parte di tutto questo mondo, come produttori, etichette discografiche, altri ingegneri del suono, appunto; realtà che, seppur piccole, sono quelle che tengono in vita un panorama musicale italiano che spero possa continuare a crescere. Come dicono qui, “know your game”, conosci il tuo gioco.
D. Ma, al di là delle naturali dimensioni del mercato, in America molto piu' vasto che in Italia, cosa si potrebbe fare, in Italia, per far crescere la figura professionale dell'ingegnere del suono?
R. Come detto, l’ingegnere del suono e’ un ingranaggio di un meccanismo e di un business, ed e’ grande, importante quanto il mercato stesso. Io spero che l’Italia, riallacciandosi anche alla sua grande tradizione musicale in senso lato, possa trovare sempre piu’ interesse nella musica come arte e cultura, riesca a sviluppare un business sano ed ad esportare artisti di talento in tutto il mondo: dando voce piu’ all’originalita’ che solo a prodotti preconfezionati da show televisivi.
Fabrizio Federici