(ASI) Bologna - L'Italia, come molti altri Paesi dell'Europa meridionale, è una delle realtà dove l'heavy metal è penetrato con più difficoltà. È probabilmente l'influenza cattolica ad aver posto un freno all'avanzata di un genere musicale pieno di riferimenti oscuri, esoterici e paganeggianti.
O, forse, un'industria musicale atrofizzata sugli stereotipi della musica leggera. Eppure, proprio queste difficoltà hanno accresciuto uno zoccolo duro di seguaci che gode di un proprio circuito di riviste, case discografiche, organizzazioni e associazioni di promozione, completamente separato dal mainstream. Quando arrivano gli Iron Maiden, poi, decine di migliaia di persone sono pronte a mobilitarsi in massa per raggiungere la sede del concerto e celebrare la straordinaria carriera di questo gruppo inglese capace di scrivere pagine tra le più importanti nella storia del genere.
Sin dal mattino del primo giugno, Bologna è praticamente invasa da metallari di ogni età che, sebbene in gran parte composti, schivi e riservati, sfoggiano magliette, jeans e toppe come fossero divise di un esercito, riportando la memoria a tanti anni fa. Nei due giorni precedenti di esibizioni all'interno di questa edizione del “Rock in Idro”, nessun'altra band rock e punk, vecchia e nuova, ha fatto registrare un seguito anche lontanamente simile e, con tutta la stima e il rispetto, nemmeno nomi metallici pur noti come Opeth, Extrema e Alter Bridge hanno potuto fare nulla di fronte all'egemonico potere di attrazione esercitato dagli Iron Maiden. Ormai prossimi alla soglia dei sessanta anni, Steve Harris, Bruce Dickinson, Dave Murray, Adrian Smith, Janick Gers e Nicko McBrain hanno risposto alle aspettative, infiammando gli animi dei 25.000 spettatori presenti al Parco Nord di Bologna, in un'arena stracolma in ogni ordine di posti.
Quando la band sale sul palco sparando a raffica Moonchild, Can I Play With Madness, The Prisoner e Two Minutes To Midnight appare già chiaro che non ci sarà spazio per alcun brano tratto dagli album più recenti: solamente pezzi classici, catapultati direttamente dagli anni Ottanta, decade che ha consacrato gli Iron Maiden nella storia della musica moderna. Tuttavia, ormai non stupisce più la presenza di tanti giovanissimi, ragazzi e ragazze, al fianco dei vecchi seguaci, oggi quarantenni, a dimostrazione dello straordinario successo intergenerazionale di un gruppo che da quasi trentacinque anni riempie gli stadi e le arene di tutto il mondo, anche senza grandi campagne promozionali.
Come tavole della legge dell'heavy metal, le cavalcate epiche di The Trooper, The Evil That Men Do, Run To The Hills o Aces High e i fraseggi di chitarra sincronizzati di Iron Maiden, Phantom Of The Opera, Seventh Son Of A Seventh Son o Fear of The Dark continuano a narrare storie vere, leggende o miti, a milioni di ascoltatori e ad ispirare una pletora di gruppi heavy o power metal. Poco importa se l'audio a tratti non è stato impeccabile e se il concerto è volato via in un'esecuzione complessiva forse un po' frettolosa, perché la prova della Vergine di Ferro anche stavolta non ha deluso le speranze. Le corse sul palco di Bruce Dickinson, i torrenziali assoli di chitarra del trio Murray-Smith-Gers, il carisma al basso di Steve Harris e lo spirito di servizio dell'umile e simpaticissimo Nicko McBrain alla batteria cancellano qualsiasi ruga dal viso e mandano in visibilio il pubblico che, come da tradizione consolidata, accompagna i passaggi più noti con il coro delle proprie voci.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia