Franz Schubert
Quattro improvvisi op. 90 (D. 899)
Drei Klavierstücke D. 946
Ludwig van Beethoven
Sonata in si bemolle maggiore op. 106, “Große Sonate für das Hammerklavier”.
Ritengo che gli Improvvisi siano stati perfetti, una delle migliori esecuzioni che abbia avuto modo di ascoltare di questa serie. Significato tutto classico del Sol iniziale nel n.1 grazie ad un generalizzato perfetto controllo del suono che ha tolto dal campo citate ambiguità, straordinario il pianissimo del tema che resta serioso (ma che ci sembra eccessivo definirlo marziale), tempi giusti. Molto singolare l’approccio al numero 2 con l’esecuzione di veramente ambigui staccati/appoggiati che leggerissimi rendono eteree e molto moderne le prime battute del brano. Belli i cromatismi e straordinaria la resa romantica dello sviluppo che inizia dalla ventiseiesima battuta (E.R. 2269). Estremamente opportuno il suono e tutta la impostazione timbrica del n. 3 poiché restituisce Schubert nella sua più piena natura, non cadendo in ascoltate interpretazioni più orientate verso un ingiustificato impressionismo o addirittura verso modalità espressive lisztiane qui non richieste. Ottimi i cambi ritmici. Interpretazione anti casellina oserei dire che non risparmia alcune durezze acustiche ma che definirei oltre che bellissima, appropriatissima e nella quale tutti gli spiriti schubertiani sono colti.
Gli Studi, dello stesso autore, sono pagine difficili, non frequenti da essere ascoltati e qui eseguiti d’un fiato, senza incedere o esitare nelle difficoltà tecniche. Brillanti alcuni momenti puramente virtuosistici. Riesce qui come prima ad esaltare tutte le pieghe armoniche dello spartito, insinuandosi in esse, scovandole e mostrandole al pubblico. Grande potenza sonora ove richiesto. Ciò che resta è un bell’affresco di musica romantica, con punte che nello studio n.1 toccano inaspettatamente corde dell’anima, a pena degli ascoltatori meno sensibili. Virtuosismo, grande coerenza e precisione nello Studio n.3.
Quanto alla “Hammerklavier” op. 106 colpiscono subito il rispetto di un inviolato carattere beethoveniano, un grande lavoro sui piani sonori, la assenza, per lo meno nelle prime pagine, di eccessi. Brillanti i puntati che appaiono leggerissimi, riuscito l’incrocio parossistico delle mani, superati ottimamente i difficilissimi e ben noti trilli in un contesto molto lucido dal quale emerge una lettura matura, solida, dimostrazione di un pensiero musicale proprio, consolidato. Una lettura molto viva della monumentale Sonata, per la quale illuminanti restano le righe scritte da Glenn Golud ne L’ala del turbine intelligente.
Giuseppe Nardelli – Agenzia Stampa Italia