(ASI) Gli ultimi dati epidemiologici relativi all’incidenza del disturbo autistico sulla popolazione americana, arrivano da uno dei più autorevoli organismi governamentali degli Stati Uniti. Il “Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie” (CDC) ha recentemente pubblicato i risultati di un importante studio realizzato nel 2008, che ha poi richiesto un lungo periodo di elaborazione sistematica.
L’indagine è stata realizzata sulla popolazione di bambini e bambine di 8 anni, nel territorio di 14 Stati. L’età di riferimento prescelta come variabile di controllo (8 anni) è quella considerata dalla comunità scientifica come il momento di massima conclamazione della patologia, nonostante le moderne tecniche diagnostiche riescano ormai ad identificarne i sintomi già in tenera età.
1 su 88, questo è stato l’esito sconvolgente, ovvero ogni 88 bambini, uno è affetto da autismo. Il Disturbo dello spettro autistico è una patologia delle funzioni cerebrali caratterizzata da una sintomatologia multiforme che ne rende difficile la precisa definizione clinica. I maschi sono colpiti 5 volte più delle donne. Comunemente definito spettro autistico per i diversi livelli di complessità con cui si presenta nell’individuo - dalle forme più lievi (la cosiddetta sindrome di Asperger) alle forme più severe e invalidanti - l’autismo accomuna per la grande difficoltà di relazione e la conseguente incapacità di integrarsi socialmente. Quest’ultimo aspetto richiederebbe anche una visione del problema da diversa prospettiva, ragionando sulla propensione della stessa società all’integrazione, ma forse i tempi non sono ancora maturi. Adesso quello che importa è comprendere la gravità del fenomeno alla luce dei dati che ad ogni rilevazione si fanno sempre più allarmanti, come dimostra lo studio del 2008 comparato con quelli precedenti.
Altri elementi interessanti sono emersi dall’analisi dei dati pubblicati: ad esempio risulta che la maggioranza del campione rilevato (70 %) mostra un livello normale delle funzioni intellettive, escludendone il nesso implicito con il ritardo mentale; che una percentuale importante (oltre il 10 %) presenta delle disfunzioni genetiche e cromosomiche, confermando la ricorrente comorbilità dell’autismo con altre patologie di natura genetica (sindrome dell’X fragile, sclerosi tuberosa etc.); che l’incidenza dell’autismo è maggiore nei figli di genitori in tarda età.
Questi numeri dovrebbero far drizzare i capelli delle nostre Istituzioni e destare quantomeno la curiosità dell’informazione, non fosse altro per i costi sociali di cui sono espressione, senza contare il profondo disagio in cui versano migliaia di famiglie, impreparate e abbandonate a se stesse. L’Italia come del resto tanti altri Paesi, non sembra avere una reale consapevolezza del problema: gli interventi dei servizi socio-sanitari appaiono inadeguati, salvo rare eccezioni, e la vaghezza delle ultime Linee Guida sull’Autismo pubblicate dal Ministero della Salute, confermano questa sensazione. La reale indecifrabilità dei meccanismi alla base di questa patologia, non può costituire un alibi sufficiente alla distrazione generale. L’autismo, come tutte le malattie invalidanti, colpisce il benessere psico-fisico della persona, mina i legami affettivi - anche se a volte li rafforza, ti strappa via la dignità quando ti senti solo tra una moltitudine di apparente normalità.
Fabrizio Torella Agenzia Stampa Italia