Tale studio prospettico, svolto in stretta collaborazione con il Servizio di Patologia Clinica della Azienda Ospedaliera di Perugia, è quello di confermare il valore predittivo diagnostico e prognostico del 2proPSA - una particolare forma del tradizionale antigene prostatico specifico PSA - e dei suoi derivati: recenti ricerche, infatti, hanno dimostrato che alcuni nuovi biomarcatori – ed in particolare, negli ultimi due anni, il 2proPSA – dotati di una maggior sensibilità e specificità, potrebbero essere efficacemente impiegati nella diagnosi precoce di questa neoplasia.
I due test oggi più comunemente usati per la diagnosi del cancro alla prostata sono infatti l'esplorazione rettale (DRE) ed il dosaggio del PSA (antigene prostatico specifico): nella maggior parte dei casi il tumore viene rilevato in uno stadio preclinico, in assenza di segni soggettivi ed obiettivi, in pratica solo per l’aumento del PSA.
Tuttavia il PSA è un marcatore organo-specifico ma non tumore-specifico ed suoi livelli possono aumentare come risultato di attività fisica, attività sessuale, dopo esplorazione rettale ed ecografia transrettale, in presenza di iperplasia prostatica benigna (BPH), prostatite acuta e cronica e, ovviamente, in presenza di neoplasia. Il 70% dei casi di cancro può essere rilevata ponendo il limite superiore di PSA a 4,0 ng/ml, tuttavia, utilizzando tale soglia, dal 20% al 25% dei casi di cancro prostatico non vengono rilevati (falsi negativi) ed il tasso di falsi positivi è del 65%.
Conclusa la fase di arruolamento, lo studio sarà oggetto di valutazione statistica al fine di identificare quali pazienti effettivamente necessiteranno di una biopsia prostatica, e quali potranno essere indirizzati ad una vigile attesa.