(ASI) Perugia. Nel pomeriggio di venerdì 13 aprile, presso Palazzo Sorbello si è tenuta la presentazione del volume Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani, 1940-1945 di Elena Aga Rossi e Maria Teresa Giusti (Bologna, Il Mulino, 2011)
L’Isuc (Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea) in collaborazione con la Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation sono stati promotori della presentazione del volume alla quale sono intervenuti Alberto Sorbini (Direttore Isuc), Ruggero Ranieri (Presidente Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation), Loreto Di Nucci (docente di Storia Contemporanea e di Storia dei Sistemi Politici presso la Facoltà di Scienze Politiche di Perugia) e Armando Pitassio ( docente di Storia dell’Europa Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche di Perugia).
Il volume ha suscitato un forte interesse nei lettori e nella critica poiché copre una lacuna storica importante che va dall’ 8 settembre del ’43 (data che segna l’armistizio) fino al 1945.
Merito delle autrici è quello di raccontare nel dettaglio l’intera vicenda degli italiani nei Balcani: l’occupazione, la lotta ai partigiani, la crisi e le divisioni che seguirono all’8 settembre, le questioni del rientro dei prigionieri in mano jugoslava e gli impuniti crimini di guerra italiani.
La ragione che ha spinto l’Isuc (Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea) a promuovere la presentazione del volume è rintracciabile in uno degli aspetti affrontati dalle due autrici. Come ha dichiarato il direttore Alberto Sorbini, in queste pagine è racchiusa ‘un’altra faccia’ di un tema che l’Istituto sta studiando da diversi anni: la condizione degli internati jugoslavi in Umbria.
Nel nostro territorio, infatti, dal 1942 al 1943, erano presenti due campi di prigionieri, uno a Pissignano di Campello sul Clitunno e l’altro a Colfiorito. Gran parte di questi prigionieri erano civili e non militari e giunsero in Italia a seguito dei rastrellamenti compiuti nelle varie regioni della Jugoslavia. In data 8 settembre, quando vi fu l’evasione di alcuni internati, nel campo di Colfiorito si contavano circa 1500 montenegrini: alcuni evasi aderirono alle bande dei partigiani, altri cercarono di spingersi al di là dell’Adriatico, altri ancora vennero catturati e trasportati nei campi del Nord Italia.
Grazie alla presentazione del volume si è riusciti a chiarire cosa sia accaduto in quegli stessi anni nelle terre Balcaniche. Fra i vari elementi di interesse, è bene evidenziare quello delle divisioni italiane che si creano dopo l’8 settembre, quando si assiste a un momento di sbandamento: circa 430.000 italiani si arresero ai tedeschi e vennero imprigionati, parte aderirono alle bande partigiane ed altri si allearono con i nazisti. Altri aspetti che catturano l’attenzione del lettore riguardano i campi di prigionia (che non sono solo quelli tedeschi, ma anche quelli jugoslavi, albanesi, greci,…); la ricostruzione degli eccidi che subirono i soldati italiani ( a noi è particolarmente noto quello di Cefalonia) e lo scenario che si presentò alla fine della guerra. Da una parte albanesi, jugoslavi e greci cercarono di imbastire processi contro coloro che erano ritenuti responsabili dei crimini, dall’altra il governo italiano che non permise di consegnare i colpevoli e che fornì un’interpretazione diversa di quella tragica esperienza.
Come ha affermato il professor Di Nucci, l’opera che è stata presentata ripropone un ‘grandioso mosaico storico’costruito pazientemente dalle autrici, dopo aver raccolto migliaia di frammenti e la loro narrazione risulta dominata da un sentimento di equità storica ma, soprattutto, di pietas per le tragiche vicende che hanno visto protagonisti i militari italiani.
Le autrici del volume, infatti, con indubbia competenza e sensibilità, hanno affrontato vari problemi storici sui quali si è soffermato il professor di Nucci nel corso del suo intervento.
Fra questi vi è il carattere assunto dall’occupazione italiana nelle terre balcaniche, il cui tratto distintivo fu la ferocia. La domanda che sorge spontanea e a cui è difficile trovare risposta è se questo spirito feroce sia il risultato del classico comportamento di chi affronta una guerra o, piuttosto, il frutto dell’ideologia fascista che aveva manipolato le coscienze.
Un secondo aspetto sul quale soffermarsi riguarda la catastrofe successiva all’8 settembre: come è possibile che gli italiani, che erano fra i 600.000 e i 650.000, circa il doppio dei tedeschi, furono costretti alla resa? Come accadde che i ribelli furono trucidati o fatti prigionieri? Secondo le autrici la catastrofe dipese da un momento di totale rinuncia ai propri doveri da parte del governo. Ed anche su questo punto si potrebbe aprire un lungo dibattito..
Il terzo problema che viene sollevato concerne la questione della scelta fra collaborazionismo e resistenza (intesa come rifiuto alla resa). Fra quanti scelsero di continuare a combattere a fianco dei tedeschi vi era chi mal sopportava le durissime condizioni di prigionia, chi alimentava la convinzione che la Germania potesse vincere la guerra e chi era guidato da un forte opportunismo.
La gran parte degli italiani scelse di resistere e di mantenere un comportamento fiero e dignitoso.
Il quarto e ultimo aspetto evidenziato dal professor Di Nucci riguarda il dramma dei prigionieri trasferiti in Germania e trattati come schiavi, poiché badogliani traditori. Questi, a differenza degli altri prigionieri di guerra, potevano essere sfruttati come forza lavoro, poiché non tutelati dalle convenzioni internazionali e la loro condizione risultò talvolta peggiore di quella dei prigionieri sovietici.
La scelta di mettere mano a questa opera è stata dettata dal desiderio delle autrici di riportare alla luce un argomento completamente rimosso dai libri di storia e dai testi scolastici. Quasi nessuno studente, infatti, saprebbe raccontare le vicende dei militari italiani nei Balcani, nonostante a questa guerra abbia partecipato un’intera generazione di giovani. Perché questo aspetto è rimasto nell’ombra? Perché si è voluta ricostruire una storia d’Italia antifascista, fingendo di non essere stati una popolazione di fascisti per venti anni. Ma la realtà è ben diversa: molti di coloro che andarono in guerra erano convinti della loro scelta, poiché i regimi totalitari riuscivano ad ottenere il consenso, non solo attraverso l’oppressione ma anche con la propaganda e il sistema educativo adottato nelle scuole.
Attraverso la lettura del volume di Elena Aga Rossi e di M. Teresa Giusti è possibile cogliere un messaggio indirizzato alle nuove generazioni e volto al tentato recupero di una realtà storica che per troppo tempo è rimasta ‘nell’ombra’ e che merita di essere ‘riportata alla luce’, nella consapevolezza che ‘fare storia’ non significa limitarsi alla lettura dei manuali scolastici, ma effettuare ricerche approfondite su qualsiasi aspetto abbia coinvolto e sconvolto l’umanità … e, soprattutto, su quelli che , per comodo o per paura, si Sceglie spesso di ignorare.
Maria Vera Valastro –Agenzia Stampa Italia