(ASI) Tanti e tanti anni fa viveva in Abruzzo un giovane pastore, gentile e di bell’aspetto. Passava le sue giornate a custodire le pecore, che non erano sue: lui era un garzone, assai ben voluto però dal padrone, che era per lui quasi un secondo padre, avendo il ragazzo molto presto perso i genitori. Questa dolorosa circostanza aveva acuito la sua sensibilità, e gli aveva procurato una grande paura della morte.
Essendo fin da bambino un sognatore, a differenza degli altri pastori, amava leggere, soprattutto storie e leggende antiche della nostra terra. Si era fatta l’idea che il mondo fosse quel grosso pezzo di terra fatto di monti, colline e valli che riusciva a dominare con lo sguardo dalla montagna in cui trascorreva le sue giornate dall’alba al tramonto, d’estate e d’inverno, senza giorni di riposo e tornando raramente al suo paese, che pure non era lontano.
Aveva letto un giorno che in una sperduta valle c’era un posto dove non si moriva mai. Tutto preso da questa fantasia, in cui si cullava nei momenti di tristezza, una sera in cui si sentiva più stanco del solito, si addormentò presto. Sognò una giovane fata (che per la verità aveva le sembianze della bella figlia del padrone, che spesso aveva mostrato di guardarlo assai volentieri), alla quale si premurò di chiedere dove mai si trovasse il posto dove si poteva vivere in eterno. La dolce fatina gli rispose di non sapere esattamente dove fosse questo paese magico; tuttavia gli consigliò di mettersi in spalla il fagotto delle sue povere cose, un tascapane con dentro acqua, pane e companatico, e di mettersi in cammino, aggiungendo che se avesse avuto fiducia i suoi sogni si sarebbero avverati.
Il ragazzo, con il suo cuore generoso e pieno di speranza, abbandonò il gregge e s’incamminò in direzione dell’est, dove gli era parso di vedere una stella più splendente delle altre: «Che sia un segno?», si era chiesto il giovane, cui non mancava certo la capacità di suggestionarsi.
Camminò per monti e per valli, giungendo persino a scorgere in lontananza il mare, che non aveva mai visto. Attraversò molti villaggi, che gli parevano però tutti uguali, abitati da vecchi, giovani, bambini allegri e tristi, che lavoravano e di tanto in tanto si riposavano. Dappertutto le stesse scene di vita ordinaria, anzi, in un’occasione, gli sembrò perfino di trovarsi nel bel mezzo del funerale di una ragazza, il cui volto gli pareva di conoscere.
Ciascuna delle persone a cui chiedeva dove fosse il posto dove si viveva in eterno, in genere vecchi contadini dall’aria saggia, gli rispondeva che più avanti avrebbe trovato un uomo più sapiente in grado di soddisfare la sua domanda. Il giovane pastore, che era sì un sognatore ma non era uno stupido, capì subito che da quelle parti non esisteva nessun posto dove non si moriva mai.
Volle allora fare un altro tentativo e si spinse ancora più lontano, dove il cielo sembrava toccarsi con la terra. Giunse infine in un villaggio che gli parve molto antico, come non ne aveva mai visti prima, con strade piene di asini e cammelli e con gente strana, vestita con lunghe vesti e lunghi mantelli. Chiese anche ad uno di loro dove stesse il paese dove non si moriva, ma non ebbe risposta. Riconobbe infine alcuni pastori come lui che portavano in mano grosse forme di cacio. Domandò dove andassero, e più di uno gli disse che si recavano in una stalla dove era nato un bambino.
«E dov’è questa stalla?», chiese incuriosito il giovane.
«Ma come, non lo sai?», rispose uno dei pastori, e aggiunse:
«Guarda la stella!».
Allora il pastorello riconobbe la stella che aveva visto all’inizio del suo cammino e si mise a correre in quella direzione, con il vago presentimento che nella stalla di cui aveva sentito parlare stesse quello che cercava. Non aveva fatto cento metri, che un suono di campane a distesa risuonò nell’aria fresca.
Il giovane si svegliò. Pochi attimi...e capì di aver sognato tutto. Ma il suono delle campane lo udiva veramente: erano le campane del suo paese, non molto lontano dal ricovero in cui dormiva, che annunciavano la messa di mezzanotte. Si ricordò allora che era la vigilia di Natale.
Assicuratosi che le pecore stessero ben al sicuro e ringraziando Dio che fuori ci fosse il più bel chiaro di luna, si avviò quasi al galoppo verso la chiesa del suo villaggio, incurante del freddo. Entrando vide un grosso presepe e gli parve di riconoscere le figure e le case che aveva visto in sogno. Assistette molto devotamente alla messa, come non gli era mai capitato da bambino. Ascoltò attentamente le parole del Vangelo, che parlavano di angeli e di pastori come lui avvolti da una grande luce, e comprese chiaramente che lì si annunciava il luogo dove gli uomini sarebbero davvero vissuti in eterno.
Assaporò una grande gioia, come quando da piccolo si assopiva tra le braccia della mamma. Il suo sguardo si incrociò con la figlia del padrone, anch’essa presente in chiesa, che gli sorrise allo stesso modo della fatina del sogno. Presto sarebbero convolati a nozze, avrebbero avuto molti bambini, e sarebbero stati felici sia in terra che in Cielo.
Giuseppe Lalli