(ASI) Milano. Un’autentica partita a poker quella giocata dalla Galleria d’Arte Frediano Farsetti, a Milano, e dai fratelli Fabio e Paolo Gori, a Calenzano, dove la posta - decisamente alta - è trasformare una blasonata galleria milanese e uno spazio industriale in set d’eccezione per il work in progress di un artista.
In questo caso, Vittorio Corsini.
Il 5 aprile si è giocata la prima mano della partita, con l’inaugurazione alla Farsetti di Unstable (visitabile fino all’11 maggio) e il 13 aprile ecco il rilancio di Arte in Fabbrica con Environments (esposizione che resterà aperta fino al 30 settembre).
Quale il valore aggiunto di location tanto diverse e proprie di situazioni economico-culturali altre per ospitare le personali di Corsini? E perché la scelta di puntare proprio questo artista? Proviamo a leggere il dietro le quinte che, in questo caso, è esso stesso fare/farsi arte.
Partiamo, quindi, da Milano in questo nostro viaggio alla scoperta dell’arte contemporanea che, sempre più spesso, travalica i confini non solamente della tela o della cosiddetta arte figurativa ma diventa essa stessa, nel suo farsi, un porsi nel mondo, un atto creativo che, in quanto tale, rivendica la propria artisticità - non più quale prodotto finito e definito, ascrivibile e decodificabile, ma come in progress creativo che trova nell’azione o performazione (e, in questo caso, trasformazione) la propria ragion d’essere, il proprio diritto di stare al mondo. Ecco, quindi, Vittorio Corsini confrontarsi con la Galleria Farsetti, crogiuolo di sicurezze, dimora per opere ormai - stabilmente - patrimonio artistico e culturale. Come operare di fronte, ad esempio, a una natura morta morandiana che è insieme sublimazione di raccoglimento intimo - casalingo - e sperimentazione plastico-coloristica in tempi di ritorno all’ordine? Come destabilizzare creativamente forme che paiono perfette nella loro costruzione geometrica eppure rimandano nel tono su tono a impressioni emozionali? Vittorio Corsini decide di operare sul contenitore, la Galleria, rendendolo Unstable, per sublimare fors’anche la stabilità del contenuto. Ecco, quindi, che la Farsetti si trasforma in un cantiere d’arte, dove ogni elemento architettonico, dall’ingresso bourgeois alle boiserie, può essere rimesso in discussione, rivoluzionato in maniera creativa - poiché solamente dal brodo prebiotico può nascere la vita. Vittorio Corsini innesta le sue ossessioni d’artista su superfici e in spazi apparentemente distanti dal suo fare arte. Eppure proprio la forza del messaggio dà senso all’azione: il ponteggio e la serie di case in vetro o cristallo poggianti in maniera instabile su marmo o legno (tra i suoi temi e stilemi) danno forza a un’etica del fare, manuale e materica, che sincreticamente si riallaccia alle ossessioni d’artista proprie di un Morandi (solo per continuare sulla stessa linea di pensiero), intrecciandosi indubitabilmente con il casalingo/intimistico morandiano. Ma non solo, in quanto permettono all’ala cezanniana dell’artista del Novecento di aprirsi allo spazio circostante grazie alla comune matrice - laddove le figure sono accordi di colore e l’instabilità insita nelle stesse è denunciata da Cézanne in un tavolo, da Morandi nella fragilità della materia, da Corsini nelle fondamenta oblique delle sue case, nell’in progress che è simbolo di quel farsi disfarsi e rifarsi proprio di ogni arte, e ancora nella fragilità del vetro o del cristallo.
Spostandoci a Calenzano il discorso prende nuove direzioni e si apre ad altre prospettive. La seconda parte della partita a poker è giocata negli ambienti realizzati dai fratelli Gori per ospitare eventi culturali, all’interno del proprio capannone. La sfida è coniugare il valore di un’impresa sana con quello del fare arte, il profit al non profit, la produzione alla creatività. Ecco, quindi, Vittorio Corsini ripensare lo spazio come Environments, ossia come una serie di ambienti. E qui la casa, fragile ma protettiva, chiusa e conchiusa, non può che aprirsi, irradiando la propria luce e il proprio calore (e colore: da notare il rosso fiammeggiante di Sottoluce, 2019). Corsini, oltre all’uso dei neon e alle scelte cromatiche precise e decise, rivela un’altra tra le sue ossessioni d’artista, ossia quella per la sperimentazione. Al contrario di molti artisti concettuali, che disdegnano la materia e demandano ad altri il fare artistico, per la prima volta ha il coraggio di confrontarsi con la pittura a olio componendo In nome del Signore (olio su alluminio, 2019), un dittico di grandi dimensioni, in scala di grigi e dalla resa fotografica, che permette alla natura fiorentina di irrompere nello spazio di Arte in Fabbrica - e nel capannone che lo accoglie - creando un cortocircuito tra interno/esterno e soggetto percepente/oggetto dello sguardo che dà ancora più valore al tentativo di dialogo.
Le due personali sono la prima partita che Farsetti e Gori giocano tra di loro e con il pubblico. Nei prossimi mesi si profileranno nuove occasioni d’incontro perché l’arte è parte integrante del nostro vivere e non può rimanere confinata nei musei così come nella cornice di una tela.
Simona Maria Frigerio
Foto: Arte in Fabbrica. Vittorio Corsini con Light for Construction Site (neon, 2019). © Galleria F. Farsetti, Milano e © Arte in Fabbrica, Calenzano. PH Fabrizio Stipari