(ASI) A Roma, presso l'hotel “Londra & Cargill” in Piazza Sallustio, è stato presentato ultimamente il libro “Il chicco acre della melagrana” ( Divina Follia ed., 2018), scritto a quattro mani da Letizia Leonardi, giornalista,e Giorgio Kevork Orfalian, professionista armeno da anni residente nell' Urbe.
Il racconto autobiografico della vita di Orfalian, nato nel 1950 in Libia (dove il nonno era stato deportato, proveniente da Aleppo, dai turchi durante il “Medz Yeghern”, il vero e proprio genocidio armeno perpetrato dal Governo ottomano nel 1915).
Una vita da film, quella di Orfalian: che, trasferitosi giovanissimo in Italia, studia vari anni nel Collegio armeno di Venezia; sino a quando, nel 1969, non può tornare dalla famiglia, in una Libia dove, nel frattempo (1 settembre), è scoppiata la rivoluzione del colonnello Gheddafi, che liquida la monarchia filoccidentale di re Idris. Trasferitosi a Roma, Giorgio si dedica ai lavori piu' umili: esperienze, queste, che, però, gli permettono di fare altre conoscenze ( tra cui anche personalità come Enrico Maria Salerno e Pier Paolo Pasolini), e introdursi nel mondo commerciale. Da rappresentante nel settore abbigliamento, il giovane Giorgio gira allora un po' tutti i Paesi del Medio Oriente; sinchè, nell'inquieta Turchia degli anni '70, stretta fra terrorismo e fremiti golpisti ( nel '70 c'era stato il primo putsch dei generali turchi ), nel '77 viene arrestato sotto la falsa accusa di terrorismo.
L' esperienza del carcere - ha raccontato Orfalian – è stata veramente disumana ( non a caso, sullo schermo in fondo alla sala venivano proiettate, intanto, scene del “cult-movie” degli anni ' 70 di Alan Parker “Fuga di mezzanotte”). Dopo 9 mesi di carcerazione e torture, riconosciuto innocente del reato di terrorismo ( che gli è costato una condanna a morte, mai revocata), Giorgio, liberato, può tornare in Armenia , dove lavorerà sodo altri anni, per ricrearsi un' adeguata base di vita.
Dedicatosi, oltre che al commercio, anche al lavoro come agente finanziario internazionale, padrone di ben 7 lingue, Orfalian farà, poi, anche le altre profonde esperienze del volontariato in soccorso ai terremotati di Spitak ( dicembre 1988), nel nord d' un' Armenia all' epoca ancora sotto la sovranità sovietica; e in ultimo, dopo l'indipendenza armena in seguito al crollo dell' URSS (settembre 1991), anche della guerra con l' Azerbaijan (1992- '94), scoppiata per la secessione, da quest' ultimo, dell' enclave armena del Nagorno-Karabakh ( o Artsakh). Un conflitto che, dopo aver provocato 30.000 morti e non essersi mai veramente concluso, si riaccenderà, dopo periodiche fiammate, ad aprile 2016, causando piu' di altre cento vittime.
Come per tutti gli armeni, la vita di Giogio Kevork Orfalian risulta segnata dal dolore per il genocidio del 1915 “e dintorni”: dolore acuito dalla posizione tuttora assunta dal Governo turco, che , a proposito di quegli avvenimenti – lo sterminio, appunto, di un milione e mezzo di armeni nel “1915 e dintorni” - si rifiuta ostinatamente di parlare di “genocidio”, ma. al massimo, di morti per fame, stenti o per episodi di violenza causati dai comandi locali del proprio esercito, ma non frutto d' un disegno preordinato. “Ci furono invece, ai primi del 1915”, ha ricordato Orfalian , “vari segnali inquietanti, che purtroppo noi armeni sottovalutammo: a gennaio, infatti, il Governo turco disarmò i battaglioni armeni, inquadrati nel proprio esercito, che, nella situazione successiva, avrebbero potuto opporti validamente allo sterminio. Poi, quando il 24 aprile iniziò il “Medz Yeghern”, la prima mossa turca fu l' eliminazione sistematica di tutta l'elite armena (giornalisti, scrittori, medici, avvocati, ecc..: cioè tutti quei professionisti, culturalmente dotati, che avrebbero potuto denunciare meglio al mondo quel che stava accadendo). Ma il destino del nostro popolo, se ha previsto sempre varie sciagure, ci ha sempre dato, però, anche la possibilità di risorgere”.
Fabrizio Federici