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(ASI) Enio, poeta romano del periodo arcaico. dice di avere tre anime in quanto parla tre lingue il latino, il greco e l’osco. Ogni popolo si identifica, dalla notte dei tempi, nella propria lingua perché in questa sono espresse la sua storia, le sue tradizioni, la sua cultura. L’ultima fatica di Alessandro Mezzano si chiama “L’Antibarbaro vocabolario dell’italianità” dalle edizioni Jivis al modesto costo di sei euro. Si tratta di un libretto, non molto voluminoso, ma, a mio modesto giudizio, molto efficace, multo in parvo dicono i padri romani.
L’autore affronta una questione di vitale importanza il rischio di morte della lingua italiana soffocata dallo strapotere della lingua inglese in particolare nella, poco amena, versione d’oltreoceano. Questo purtroppo non accade solo in Italia, anche se per motivi storici (l’avversione della Chiesa e della maggioranza del partito socialista al Risorgimento) l’ Italia esterofile rappresenta spesso, come si dice nel ciclismo, la maglia nera bensì quasi dappertutto basti pensare alla Romania oppure all’Ungheria o alla Grecia. Il neologismo rappresenta un adeguamento della lingua a realtà che in passato non esistono. Quindi si coniano nuove parole. I vocaboli telefono, televisore, frigorifero, per esempio, sono, ovviamente, entrati nella lingua italiana solo nel secolo XIX però sono stati inseriti in tutti i dizionari; quindi l’italiano si dimostra una lingua viva in grado di adattarsi al mondo che cambia. Oggi, purtroppo, non è più cosi le nuove invenzioni ricevono dei nomi soltanto in lingua inglese quindi l’italiano diventa, progressivamente ma inesorabilmente, una lingua morta.

Mezzano non si limita a compilare un dizionario, da cui il titolo dell’opera, dove traduce vocaboli dall’inglese ma opportunamente aggiunge un commento allo scopo di stimolare nel lettore una riflessione. Inoltre individua, lucidamente, le cause di questo perverso fenomeno della perdita dell’identità linguistica ovvero la funzionalità della lingua inglese al pensiero unico e al mundialismo infatti scrive :” Se una “lingua franca” , l’inglese (ndr), serve essa è utile soprattutto agli operatori finanziari “ gli gnomi di Zurigo e di Wall Street” che in questo assetto politico mondiale, manovrano il mondo come vere e proprie oligarchie del denaro e non alla gran massa dei cittadini che sono esclusi dalle manovre delle solite minoranze organizzate”.

Quando molte volte affronto queste tematiche spesso l’interlocutore, pur dandomi teoricamente ragione, afferma che ormai non si può fare più a meno dell’inglese in quanto certe parole sarebbero intraducibili e inoltre nel ventunesimo secolo non si potrebbe prescindere dallo studio dell’inglese. In realtà queste risposte sono facilmente confutabili.

Anche se il barbarismo sta desertificando anche gli ultimi paesi che si ergono a barriera in Francia e in Spagna si continua a tradurre tutto per esempio non si usa la parola computer bensì calcolateur o ordinateur, invero Mezzano propone la traduzione elaboratore, ordinatore, calcolatore e invece della sigla AIDS quella SIDA per finire gli spagnoli traducono l’anglismo mouse con il vocabolo, di chiara origine latina, ratòn. L’esperienza del passato e anche le traduzioni di Mezzano dimostrano essere assolutamente falso che la lingua italiana non consente di tradurre alcuni concetti se non con una locuzione troppo prolissa. Faccio alcuni esempi tratti dal testo :” Account= conto, profitto, vantaggio, conteggio” oppure “Cd rom = disco ottico , discottico”.

Terzo nessuno vuole negare l’utilità dello studio delle lingue straniere, in particolare europee, però studiare una lingua straniera non vuol dire dimenticare di parlare l’italiano.

L’autore, argutamente, mette in evidenza la banalità di chi sostiene la maggiore praticità della lingua inglese in quanto più semplice. Invero le stesse traduzioni di Mezzano dimostrano l’adattabilità della lingua di Dante e poi nessuno può assolutamente negare che la nostra lingua, che deriva dal greco e dal latino, è sicuramente più ricca e completa dell’inglese; interessante la parafrasi del testo tra chi avendo una Ferrari e una utilitaria ovviamente usa la prima.

L’analisi del testo citato ci offre l’occasione per affrontare un tema cruciale per la società italiana la scuola. I mezzi di comunicazione di massa si dilungano, in modo particolare negli ultimi tempi, su episodi del cosìdetto bullismo all’interno delle aule scolastiche. Pochi opinionisti però, affrontano il problema della scarsa conoscenza dei nostri ragazzi della grammatica e della sintassi. La scuola è naturalmente il luogo deputato per apprendere le regole grammaticali a maggior ragione considerando il fatto che in molte province gli adolescenti, e non solo, parlano il dialetto. Il ministro Fioroni, giustamente, sottolinea la capitale importanza della grammatica, della storia e della geografia. Proprio sulle colonne di “Rinascita” ho messo in evidenza come le tre i, inglese, internet e informatica, che il cavaliere auspica per la scuola italiana producono una quarta i ovvero ignoranti ! Un'altra osservazione condivisibile del ministro, purché alle parole seguano i fatti, è quella che prima di imparare l’inglese si deve imparare l’italiano. Si potrebbe obiettare ovvietà, ma non è così. Il progetto CLIL , sigla in lingua inglese di un programma dell’ateneo veneziano e in corso di sperimentazione in alcune scuole secondarie italiane, si propone seppure gradualmente non solo di apprendere la lingua, che ripeto e cosa meritevole anche se non sarebbe affatto negativo lo studio delle altre lingue d’Europa (il francese, il tedesco o lo spagnolo) ma addirittura di impartire ‘insegnamento delle materie curricolari ( italiano, matematica, filosofia, storia, fisica etc.) in lingua inglese. Naturalmente questo programma e utopico e , fortunatamente, non realizzato e irrealizzabile; infatti ben pochi docenti sono in grado di fare lezioni nella lingua di Albione. Tornano alla mente le ispirate parole dantesche :”

 

               Ahi serva Italia, di dolore ostello,

  nave sanza nocchiere in gran tempesta,

    non donna di provincie, ma bordello!

  Dante Alighieri, Purgatorio, Canto VI, 76-78 (1304-1320).

 

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