(ASI) L’AQUILA - Nell’abside di sinistra della chiesa capoquarto di San Pietro a Coppito, a L’Aquila, v’è un interessante affresco, che narra alcuni episodi chiave della storia aquilana del XV secolo. Nella zona inferiore si raffigura un San Giorgio e il drago, con la didascalia «QN S. GIORGIU LIBERO’ LA TUSELLA DALLU DRAU», dove nella Tusella è da intendersi L’Aquila, nel drago Braccio da Montone e forse nel San Giorgio l’eroe Antonuccio Camponeschi, che dallo pseudo Ciminiello fu definito per l’occasione «un San Giorgio quanno s’è a cavalliu».
Meno note, in alto, le due scene delle case turrite, con aquile, scimmia e un gatto. Proviamo ad interpretarle. Nella prima, in basso, notiamo due aquile nere e in gabbia. In primo piano una scimmia legata. Sul tetto, a destra della torre, scorrazza un curioso gattino nero. Molto probabilmente il tutto sta a simboleggiare il “cattivo governo” della città sotto il dominio aragonese, in particolare di Ferrante. Infatti, a parte il colore dei volatili e la loro reclusione, la scimmietta incatenata, secondo il repertorio artistico tardo gotico, rappresenta l’essere umano prigioniero del vizio[1].
Il furtivo gattino nero potrebbe forse rappresentare la parodia del perfido Ferrante, già raffigurato in metafora con queste sembianze in un codice quattrocentesco della Cronaca di Buccio di Ranallo, con cartiglio che esprime la diffidenza del re verso gli amici: «Io so’ un gacto che mangio li topi: chi vole delli amici provene pochi»[2].
La scena in alto con le aquile bianche in piena libertà è senza dubbio la metafora del “buon governo” della città sotto il governo degli Angioini. Gli affreschi di cui stiamo parlando sono probabilmente degli anni Settanta-Ottanta del Quattrocento e sembrano segnare la più antica documentazione delle aquile in gabbia, che in seguito, al di là di ogni polemica politica, rappresenteranno, fino a qualche decennio fa, un simbolo civico dell’Aquila. Le date più antiche documentate per iscritto che abbiamo riscontrato sono: il 1518, in cui si attesta la presenza di quattro aquile in gabbia ai piedi della Torre civica, il 1522 in cui si menziona un guardiano “pro pascendis aquilis”[3], il 1534, quando «la Corte di Napoli ordina che un inserviente del Comune dell’Aquila a pubbliche spese pascesse ogni giorno un’Aquila ingabbiata e sonasse l’Ave Maria»[4].
Ancora, nel 1559, si menziona la gabbia delle aquile, situata davanti al Palazzo della Corte[5], e infine, nel 1751, si ha notizia di un rifacimento della stessa gabbia con una spesa di 140 ducati[6]. La tradizione delle aquile in gabbia oggi ci è tramandata dalla attuale Via delle Aquile a fianco della Torre civica di Piazza Palazzo. Negli anni Sessanta del secolo scorso la Gabbia delle Aquile (non abbiamo indagato da quando) risultava collocata altrove, poco più a valle della Fontana Luminosa.
Fulvio Giustizia
* archeologo paletnologo e storico di cose abruzzesi
[1] Barbara Morosini, L’evoluzione del primate. Da emblema peccaminoso a goffo sembiante dell’artista, in Web, “ARTE E ARTI-Magazine”,10 giugno 2010.
[2] R. Cusella, Chi ha ucciso l’aquila bianca? L’Aquila 2009, p.29.
[3] R. Colapietra, Spiritualità, coscienza civile e mentalità collettiva nella storia di L’Aquila, 1984, pp.280 e 298.
[4] E. Casti, Le riforme della costituzione del Magistrato Aquilano dal 1270 al 1800, in “BDASP”, L’Aquila 1989, p.117.
[5] R. Colapietra, L’organismo municipale dell’Aquila in età spagnola, in «ASPN», s.III, a. XIX (1980), p.195.
[6] R. Colapietra, Spiritualità, coscienza…, cit.p.529.