(ASI) Bari - Solamente una grandissima tensione ideale può spingere un ricercatore a proseguire un qualcosa di recondito, nascosto, che è iniziato in tenera età, e non si è mai sopito. Una tomba, posta nei pressi di quella del padre. Un nome, straniero, né barese né italiano: dr. Berthold Uhlfelder. Questa lapide, fredda e bianca è posta nel cimitero di Bari, e ha sempre suscitato la curiosità dell'autore, il quale ha voluto andare sino in fondo, e dare alle stampe un bellissimo lavoro dal titolo "La storia nascosta. Gli Uhlfelder, una famiglia ebraica berlinese a Bari negli anni della persecuzione".
L'autore, è Pasquale B. Trizio, barese, studioso di storia moderna e contemporanea, che è intento nel diffondere la cultura del mare della sua città. E difatti, lui stesso afferma nel libro di essersi imbattuto nella famiglia Uhlfelder "per caso". Durante un'assolata giornata primaverile, presso l'archivio di stato della sua città, stava visionando due fasci di documenti della Regia Questura di Bari del periodo 1930 - 1943, i quali servivano lui per tutt'altre ricerche. Nel bel mezzo, vi recupera l'elenco di tutti quei poveri stranieri che si erano rifugiati in Italia per scappare alle leggi razziali tedesche. Non stranieri qualsiasi, bensì di razza ebraica. All'improvviso, l'attenzione si focalizza su un nome che da sempre, sin da quando visitava il cimitero di Bari da bambino per onorare la memoria del padre scomparso prematuramente, catturava la sua attenzione: Berthold Uhlfelder. Chi era costui? Perché era morto a Bari? Perché dalla Germania aveva deciso di trasferirsi, vivere, ed infine, morire nella cosiddetta capitale del sud - est d'Italia? Una serie di interrogativi, gli stessi che attanagliano tutti gli storici, hanno cominciato a farsi vivi. In fondo, a questo signore, dimenticato da tutti, ma non dalla sua curiosità sin da bambino, doveva un debito: far conoscere al mondo la sua storia. Cosa poteva emergere da una ricerca che ha smosso gli archivi di Stato di Bari e Roma, di un comune minuscolo dell'Abruzzo, quelli di Norimberga e Monaco di Baviera, quello dell'Ucei e quello americano Institute for Jewish Reserarch? La ricostruzione quasi integrale, dell'esistenza, tragica, sfortunata, ricca di speranze e delusioni, patimenti e internamenti, della famiglia Uhlfelder.
Berthold Uhlfelder era nato a Norimberga, il 18 aprile 1880; ha studiato da avvocato laureandosi all'Università di Würzburg, ed ha scelto Berlino, città fervente prima della Grande Guerra per svolgere la sua professione, divenendo poi Justizrat, ossia consigliere di Corte d'Appello proprio nella capitale del Reich. E proprio prima della guerra incontrava anche la donna della sua vita, Helene Nuberg, anch'ella ebrea, più giovane di lui di 13 anni, ma che amerà sino all'ultimo giorno della sua vita. La grande guerra lo vedrà combattente valoroso, tanto da essere un mutilato e decorato. La parabola discendente della sua vita, allietata anche dall'arrivo dell'unico figlio nel '14, Friedrich "Fritz" Bruno Hulfelder, comincia proprio quando Adolf Hitler giunge al potere il 30 gennaio del 1933. Da quel momento, oramai, è storia risaputa, comincia la persercuzione. Gli Uhlfelder, famiglia ebraica che a Norimberga aveva proprietà, quindi benestante e appartenente ad una fiorente borghesia, viene espropriata, ed infine sterminata. Impossibile, per Berthold, avvocato, continuare ad esercitare la sua professione, in quanto, cittadino non ariano. Verrà radiato definitivamente dall'albo degli avvocati nel 1938. Eppure, l'avvocato di Norimberga, aveva già scelto la via dell'esilio. Assieme alla moglie e al figlio, scelsero Bari, città priva di una consistente comunità ebraica, giungendovi nel 1936, portando con sé: una discreta somma di denaro, ottenuta dalla svendita delle proprietà in patria, tappeti ed argenteria preziosa, una DKW, auto di un certo rilievo soprattutto in quel nuovo contesto sociale. Berthold ed Helene, si stabiliscono in Villa Romanazzi, oggi Villa Romanazzi Carducci, in Via Estramurale 326. Uno stimato avvocato, aveva dovuto abbandonare la sua carriera per seguire una "terra sconosciuta" (così da lui definita), a 56 anni di vita, per seguire e sostenere l'esistenza del suo unico figliolo. Con loro, si era unita Elisa Michelson, l'anziana madre di Helene, che da anni risiedeva in Italia, ebrea a sua volta. La scelta di vivere nella prestigiosa residenza del Marchese Lonardo Romanazzi, secondo l'autore della ricerca, non è stata casuale. A Berlino, sua precedente sede lavorativa, l'ambasciatore d'Italia era Bernardo Attolico, non di fede fascista. E' molto probabile che il Conte Attolico abbia indirizzato presso la villa del Marchese Romanazzi per un favore ad una famiglia in difficoltà. E a Bari, consigliato dal socio Hans Matz, suo grande amico, l'ex Justizrat Uhlfelder apre un'attività di compravendita di pezzi di ricambio per autoveicoli, pur mai decollando, anzi, peggiorando sempre maggiormente sino a giungere ai tempi di guerra.
La nuova esistenza della famiglia ebrea tedesca sarebbe potuta scorrere tranquilla, sino a quando Mussolini non scelse, fatalmente, di imbracciare una politica di discriminazione razziale, similare a quella nazista: una serie di provvedimenti antiebraici, limitativi nella residenza, negli affari, nelle professioni. Ancora una volta, la famiglia subisce gli stessi tormenti, angosce che avevano spinto il nucleo all'emigrazione in Italia. Il figlio Fritz, dopo aver contratto matrimonio con Martha Huguenin - Vrichaux, nata ad Oporto ma diplomata in pittura a Milano presso l'accademia di Brera, prima del precipitare degli eventi, nel 1938 abbandona il Paese per recarsi in Portogallo stabilmente, lasciando il padre e la sua ditta in difficoltà, in una Bari che osservava pedissequamente e meticolosamente le nuove disposizioni discriminanti sulla razza. E poi la guerra, e l'impossibilità di lasciare il Paese per ricongiungersi col figlio, in Portogallo, stabilmente.
La situazione precipita, in quanto il nucleo famigliare sperimenta (paradossalmente soluzione sicura), l'internamento in paesini minuscoli dell'Abruzzo, tra privazioni, impossibilità di avere cure mediche sufficienti, e separazione dall'anziana madre, esente dalle speculazioni razziste per limiti di età. Berthold ed Helene, avevano fatto di tutto per evitare tali provvedimenti: poco tempo prima, avevano rinnegato la loro religione, contraendo battesimo cattolico a Bari, e poi registrando il loro matrimonio. Nemmeno questo aveva consentito loro di scappare alla follia, per poi vivere in condizioni miserevoli ad Alfedena, aiutati dal buon cuore della popolazione locale. Ed infine, dopo estenuanti lettere alle autorità fasciste, il ricongiungimento, con l'anziana madre, a L'Aquila, in quanto Berthold, necessitava di urgenti cure mediche per una brutta parodontite.
Praticamente, questa famiglia, aveva lasciato presso un deposito tutti i loro averi a Bari, ignari che l'internamento sarebbe durato anni, sino all'8 settembre del 1943, la lenta liberazione, ed il ritorno nel capoluogo Pugliese, nel 1944. Gradualmente, la famiglia Uhlfelder ritrova una "nuova normalità". Il ritorno a Bari, non sarà semplice. Sebbene si fosse appena costituita una nuova democratica, Berthold morirà il 25 agosto del 1946, stroncato da una malattia. La moglie invece, continuerà a vivere, sino alla veneranda età di 93 anni, ricongiungendosi con il figlio in Portogallo.
Una storia, quella degli Uhlfelder, tragica, ricostruita magistralmente. Il debito maggiore che avevamo con persone come Berthold, è proprio quella di farli conoscere al mondo: quante ansie, quante delusioni, quanti sogni infranti, in nome di leggi sbagliate ed assurde. Di una cosa si è certi: Berthold ha sempre amato e protetto la sua famiglia, ed in particolare sua moglie, alla quale ha dedicato una struggente poesia pochi mesi prima di morire, conservata ora da uno dei discendenti in Portogallo.
Questa era una storia che meritava di essere scritta, divulgata e conosciuta, affinché l'oblio non fosse calato sulle nostre coscienze.
La storia nascosta
Gli Uhlfelder, una famiglia ebraica berlinese a Bari negli anni della persecuzione
di Pasquale B. Trizio
Gelsorosso Edizioni, 126 pagg. Euro 12,-
Valentino Quintana per Agenzia Stampa Italia
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