Spiccato il volo, le ali si aprono e prendono in mano la nostra vita

cover Le radici e le aliLa prefazione di Lucia Patrizio Gunning al volume “Le radici e le ali” di Goffredo Palmerini

(ASI) L’AQUILA – “Le radici e le ali” di Goffredo Palmerini è in corso di pubblicazione per i tipi delle Edizioni One Group. L’uscita del volume è imminente, mentre la prima presentazione è prevista a L’Aquila per la fine di febbraio, poi in giro per l’Italia e all’estero. Il libro è una raccolta di storie, annotazioni e curiosità sulla più bella Italia nel mondo.

Un caleidoscopio di personaggi, fatti ed eventi culturali che raccontano la nostra comunità all’estero, alcune interessanti singolarità dell’Abruzzo e perle di quel grande scrigno d’arte e tradizioni suggestive della intrigante provincia italiana. Molti gli argomenti, che spaziano dalla cultura all’arte, dall’emigrazione a personaggi illustri, dai grandi eventi tenutisi in Abruzzo e nel resto d’Italia alle attività delle comunità abruzzesi nel mondo. Un viaggio appassionante attraverso mondi ancora poco conosciuti, siano essi nella straordinaria provincia italiana, l’Abruzzo in particolare, come tra la ricchezza morale e culturale delle nostre comunità all’estero. E’ quanto Palmerini ci propone con questo nuovo libro che, al pari dei precedenti, non manca di regalare sorprese in pagine di avvincente e intensa narrazione. Con l’autorizzazione dell’editore si propone la Prefazione al volume scritta da Lucia Patrizio Gunning, docente a Londra presso l’UCL - University College London.

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PREFAZIONE

di Lucia Patrizio Gunning *

Le radici e le ali. Il titolo stesso di questo sesto libro di Goffredo Palmerini riassume in sé il senso e il filo del suo discorso: l'attaccamento alla terra ed il volo virtuale o reale che da essa si spicca. Le ali sono una figura simbolica, bella, evocativa, positiva, ciò che ognuno di noi si è scoperto di avere quando per un motivo o per l’altro si è trovato a vivere lontano dalle proprie radici.

Poco sappiamo sull'emigrazione, pochissimo su come è la vita di coloro che si allontanano. Poche e tardive sono le politiche sull'emigrazione. I nostri politici arrancano, non vedono, non se ne preoccupano, in fondo. Non intuiscono i benefici che potrebbero portare politiche mirate. Nel capitolo “Una giornata particolare a Cellino Attanasio”, Goffredo ci dice:

“Chi scrive ... fa il punto dell’associazionismo abruzzese, esaltando il ruolo di promozione del turismo e delle eccellenze regionali che la rete degli Abruzzesi nel mondo potrebbe esercitare. Importanti ricadute economiche ne potrebbero derivare ... se la Regione Abruzzo, in particolare, e in genere gran parte della classe politica dirigente d’Italia si rendesse finalmente conto del grande patrimonio di risorse intellettuali ed umane oggi espresse dal mondo dell’emigrazione, che potrebbero essere impegnate in un capillare progetto di promozione all’estero dell’ambiente italiano, del patrimonio artistico, della gastronomia, delle tradizioni culturali e delle straordinarie singolarità del nostro Belpaese. Ma per questo è necessario che il mondo istituzionale conosca davvero l’emigrazione italiana e la sua storia, che la riconosca nel suo valore, che dell’altra Italia scopra l’opportunità di valorizzarne le capacità di rappresentanza.”

I libri di Goffredo ci aiutano a conoscere queste realtà, a costruire e mantenere un filo tra coloro che sono partiti e coloro che restano. Goffredo apre simbolicamente una porta che invita gli uni a capire e gli altri a conoscere. Nel libro si trovano storie diverse e varie, si ripercorre l’anno passato sotto il profilo culturale, si raccontano eventi, fatti, persone, con una precisione ed una delicatezza quasi poetica che attraggono il lettore e lo accompagnano con dolcezza attraverso le pagine. Da Goffredo scopro finalmente le origini della tradizione di Sant’Agnese, radicata e celebrata a L’Aquila, la nostra città, da lui imparo la storia di Maria Agamben Federici, straordinario esempio di lungimiranza e modernità, illuminante nelle sue intuizioni e nelle sue azioni. Su di lei, in uno dei capitoli del libro, leggo:

“La sua spiccata sensibilità sociale, le immagini dei treni e delle navi pieni d’emigranti, le famiglie che restavano nei paesi affidate alle sole donne, la drammatica congerie di problemi che tali situazioni determinavano, mossero Maria Federici in un’attenzione particolare e in un impegno che resta esemplare nell’affrontare le questioni sociali legate all’emigrazione italiana, per la tenacia e la complessità della sua visione del fenomeno migratorio. Dunque, non solo un’attenzione politica, ma anche una risposta strategica e strutturale ai bisogni d’assistenza che man mano emergevano come conseguenza dell’emigrazione.”

Fu lei la prima ad occuparsi del destino di coloro che emigravano, di ciò che sarebbe stato di coloro che rimanevano, di guardare al presente e al futuro e a costruire una rete di sussidio, in Italia e all’estero, che capisse e si facesse carico di coloro che, per un motivo o l’altro, si trovavano a dover lasciare casa ed affetti. Fondò l’ANFE, un’associazione che, per la dedizione ed abnegazione ad essa prestate da mio padre, ha accompagnato la mia vita fin da bambina. Questo nome che risuonava sempre in casa, pian piano ha iniziato a prendere forma fino a ritrovarmi ormai adulta, a voler conoscere le realtà delle quali si occupava.

Ed è per questa vicinanza che questo libro, che scopro così affine, mi tocca come moglie e figlia. Io stessa sono un esempio di quella emigrazione promossa dalla Comunità Europea (feci parte del primo gruppo di studenti Erasmus a University College London; quando arrivammo, l'università dovette molto in fretta capire come gestire questo nuovo fenomeno del quale non aveva ancora avuto partecipanti concreti) che è il risultato degli scambi di studio che hanno aperto alla mia generazione un mondo nuovo, esperienze per un lato molto diverse da quelle dell'emigrazione delle generazioni precedenti, eppure tanto simili per sentimenti, per un mondo di sentire, di rapportarsi, di sentirsi italiano fuori e straniero in patria.

L’emigrazione che ho conosciuto io è diversa da quella degli emigranti che partivano al tempo di Maria Federici, essendo il risultato di politiche comunitarie che invogliavano e promuovevano gli scambi e la intercomunicazione tra gli stati membri. Essa inizia quindi come un momento temporaneo della propria vita, come un'esperienza limitata e che ha un periodo definito. Come me, tanti e tanti altri giovani e meno, si sono allontanati dall'Italia per motivi di studio o di lavoro, iniziando un percorso di vita in un paese della Comunità Europea. Un’esperienza che gli ha permesso da un lato di crescere e perfezionarsi professionalmente, dall'altro di mantenere aperti e continui i contatti con la madrepatria.

Questa emigrazione risponde ad un sogno comunitario che per un verso ha avuto risvolti di crescita individuale e professionale eccezionali, dall'altro fatica sempre di più a trovare un modus operandi. A cavallo tra due culture, due nazioni, due modi di vedere, concepire e rapportarsi con la realtà intorno a sé. La mia famiglia è il risultato di questo mix tra due mondi, li guarda entrambe con l’occhio dell’osservatore, ne coglie i pregi e i difetti. Si cerca di portare i pregi dell’uno all'altra, di difendere ed esaltare i lati positivi di quello che si ha.

Lontano da casa dunque, si impara anche a guardare, capire ed apprezzare le realtà delle emigrazioni che ci hanno preceduto, che, nei diversi momenti storici, si sono succedute con caratteristiche sempre diverse, eppure con un tratto sempre comune, quello di aver lasciato alle spalle una realtà cara, conosciuta, familiare, per ritrovarsi in un mondo dove capire come reinventarsi.

E questo mi porta a richiamare un argomento oggi doloroso e scottante al tempo stesso, quello della forte, costante, incontrollata fuga verso la speranza di un futuro migliore in Europa. Ma questa Europa, essa stessa ideatrice e promotrice di apertura e movimento verso i propri cittadini, fatica oggi a trovare un senso ed un modo verso questi esseri umani che silenziosamente gridano le loro richieste di aiuto, che cercano dignità, serenità e la conquista di una vita normale. Perché lo spostamento, bisogna dirlo, è sempre dolore supportato da un senso di nostalgia e rimpianto che non si colma neanche quando sopraggiunge la normalità.

In questo libro il tema dei profughi trova la sua voce nel capitolo “La Puglia, tra emigrazione e internazionalizzazione”, dove Goffredo cita il viaggio a Lampedusa di Papa Francesco che “scagliandosi contro la globalizzazione dell’indifferenza e rendendo quel lembo di terra affacciata sul Mediterraneo non più l’ultima frontiera d’Italia, ma la prima tappa del suo primo viaggio, invita ad una compartecipazione inclusiva verso l’Altro, l’unica via possibile per abitare il cambiamento verso una società mondiale, più aperta e solidale. L’unica via per saper autenticamente essere al mondo.”

Noi abbiamo avuto la libertà di spostarci, una scelta fatta in un momento in cui si aveva il privilegio (anche economico) di potersi spostare per scelta culturale. Oggi si sta tornando alla necessità di doversi spostare. È forse questa doppia ricerca dei giovani europei, dei tantissimi giovani italiani che si spostano in cerca di lavoro e con la curiosità di imparare e rapportarsi con nuove realtà, e dei migranti in cerca di dignità, a mettere in crisi i nostri politici, che anche su questo tema faticano a trovare il nesso e le similarità in queste due realtà, dimenticando che in un passato poi non così tanto lontano, eravamo noi, Italiani ed Europei, ad essere visti al di fuori dell’Italia come dei disperati alla ricerca di dignità.

Nel volume Le radici e le ali troviamo esempi sempre confortanti e convincenti del fatto che quella dignità, quella normalità, quella ricerca di se stessi, alla fine dà i suoi frutti. Che una volta spiccato il volo, le ali si aprono e prendono simbolicamente in mano la nostra vita, mentre le radici ci riportano al senso di appartenenza in questo straordinario viaggio di emigrazione.

Nel mio piccolo le nostre ali risiedono nel riportare le esperienze, l’imparato, il conosciuto, là dove sono le radici. Il nostro progetto per L’Aquila citato da Goffredo in apertura del volume, ha rappresentato proprio questo. Portare la nostra professionalità al servizio della città.

È forse questo il senso che, in un mondo sempre più virtuale e globale, dove anche l’emigrazione sta diventando un fenomeno globale, può trovare questa nuova emigrazione: facilitare il rientro, riportare a casa le esperienze e conoscenze, usare il viaggio come una palestra per imparare esercizi da riportare e attuare a casa. Che succederebbe se si vedessero questi fenomeni migratori nell'ottica di una esperienza di vita che ci permetta di crescere per poi ritornare indietro e ri-stabilirsi in patria?

Leggo con un senso di rassicurazione sui giornali di quegli esempi di persone che, travolte dal sentimento di dovere e nostalgia, da un senso che più si deve poter fare per il proprio paese, e che la crescita avvenuta fuori può e deve essere incanalata a trasformare la propria vita in patria, tornano a stabilirsi nel proprio Paese e lì hanno successo. Questo concetto, che incomincia a fare breccia nella mente di coloro che hanno affinità con il mondo dell’emigrazione, si ritrova anche nelle parole di un intervento di Al Bano Carrisi in Puglia, che Goffredo qui riporta:

“È amaro spesso ascoltare che il nostro Paese è povero e quindi si è costretti ad andare via. Sì, purtroppo anche questo è vero, si è costretti a partire. Ma nel mio piccolo dico che se è necessario andare via per inseguire la propria vocazione che qui magari non viene valorizzata, è altrettanto fondamentale che le competenze acquisite altrove siano poi riportate nella propria terra di origine, per aiutarla a crescere con il contributo delle idee di tutti.”

Ed è in questo senso che l’emigrazione, da viaggio di dolore e speranza, di aspettative e esperienze, di crescita individuale, personale, sociale e culturale, può diventare uno strumento positivamente potentissimo e le ali per riportarci alle radici.

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LUCIA PATRIZIO GUNNING è nata L’Aquila dove ha frequentato gli studi e si è laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università degli Studi. Con una borsa di specializzazione post laurea si reca, per conto dell’Università dell’Aquila, per la seconda volta a University College London, dove consegue un dottorato di ricerca e dove inizia ad insegnare. Si dedica a ricerche su Byron, sui viaggiatori inglesi in Abruzzo, sull’emigrazione italiana in Inghilterra, sulla società inglese nell’Ottocento, sulla collezione delle antichità per i musei inglesi. Sposata con Barnaby Gunning, architetto e designer, restaura la sua casa dell’Aquila e vi va ad abitare con la famiglia fino al terremoto. Dal 2007 ritorna a vivere a Londra dove continua le sue ricerche sul ruolo della diplomazia nella collezione delle antichità. Nel 2009 esce il suo libro The British Consular Service in the Aegean and the Collection of Antiquities for the British Museum, edito da Ashgate che riceve un ampio numero di recensioni. Si dedica con il marito ad un progetto per far conoscere all’Italia ed al mondo le vere condizioni della città dell’Aquila a seguito del terremoto del 6 Aprile 2009. Dal settembre 2014 torna ad insegnare presso il dipartimento di Storia della University College London dove, dal settembre 2015, inaugura il proprio corso “Collecting for the Nation. Amateurs, collectors and diplomats: a history of museum formation”. Nominata dall’ANFE delegata per l’emigrazione italiana in Gran Bretagna, si sta occupando di rimettere insieme le fila dell’associazionismo italiano in quel Paese.

 

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