Guerre dimenticate: la fine dell'A.O.I. e la resistenza italiana

(ASI) –A dispetto dell'immagine stereotipata dei "figli di mammà", o comunque della fama di "bamboccioni" di cui godono gli italiani nel mondo, alcune della pagine più cruente delle guerre di resistenza sono state scritte proprio dagli italiani.

Esempi concreti e ben noti sono la resistenza che gli italiani opposero agli austriaci durante la prima guerra mondiale, o ancora meglio le lotte partigiane nel nord Italia ancora una volta contro l'antico nemico germanico, che ancora una volta era sceso in Italia. Andando ancor più indietro basti ricordare la lotta per l'indipendenza o le eroiche pagine scritte da uomini come Alberto da Giussano quasi 900 anni fa, anche in quell'occasione contro il nemico germanico ben più forte e numeroso. La storia è dunque piena di esempi molto noti della capacità guerriera e della grande forza di volontà italiana. Eppure vi è una pagina della storia che sta scomparendo nei meandri dell'oblio. Pochi infatti conosco le vicende legate all'eroica resistenza italiana dopo la caduta delle colonie italiane dell'A.O.I. (Africa orientale Italiana).
Il giovane impero coloniale italiano, fin dalla prima impresa in Eritrea risalente al 1882, non era mai stato gradito alle altre potenze europee. Sotto il fascismo poi tale impero crebbe ulteriormente fino ad includere la Libia, l'Etiopia e la Somalia. L'insieme di queste ultime due e l'Eritrea divenne noto con il nome di A.O.I., cioè Africa Orientale Italiana. Si trattava di un immensa fascia di territorio che garantiva all'Italia notevoli approvvigionamenti di materie prime e una posizione strategica per il controllo del Mar Rosso e dell'Oceano Indiano. Tale situazione andava cozzare direttamente con gli interessi della Gran Bretagna per la quale rivestiva vitale importanza il controllo degli sbocchi del canale di Suez onde permettere il rapido movimento della propria flotta posta a guardia dell'impero coloniale Britannico e degli interessi della madrepatria. Proprio in virtù di queste considerazioni, fin dall'inizio della guerra lo stato maggiore britannico aveva messo a punto una serie di piani volti ad occupare l'A.O.I. sia in caso di un entrata in guerra dell'Italia al fianco della Germania, che in caso di una "difficoltosa" neutralità italiana. In considerazione di detti piani militari, la dichiarazione di guerra italiana del 10 giugno 1940, portò alla loro rapida attuazione. Approfittando della lontananza delle colonie dall'Italia, e dell'impossibilità da parte di quest'ultima di organizzare una qualsiasi linea di difesa o di rifornimenti, la Gran Bretagna sferrò fin da subito una serie di attacchi che si conclusero con la resa ufficiale delle forze italiane il 27 novembre 1941 a Gondar.
Ciò che è poco noto è che la guerra degli italiani in Africa era ben lungi dall'essere finita. Durante il periodo coloniale infatti l'Italia aveva trattato le colonie alla stregua del proprio territorio nazionale. Vi aveva cioè investito tempo e risorse per la loro valorizzazione ed organizzazione, le quali a loro volta resero necessarie ulteriori complessità organizzative al punto che nei domini coloniali la vita era molto simile a quella nella madrepatria italiana. In particolare l'Italia aveva provveduto alla realizzazione di vie di comunicazione efficienti, a una politica giuridica e sociale all'avanguardia dato il tempo e il contesto coloniale, e infine, caso più unico che raro nella gestione delle colonie, programmi per lo sviluppo delle attività rurali e per la protezione e salvaguardia dell'ambiente che portarono a uno dei primi esempi di riforestazione della storia. Quando gli inglesi si impossessarono dell'A.O.I., larga parte degli italiani residenti non volle arrendersi alla disfatta e pertanto iniziò la lotta di resistenza all'invasore nella speranza, tutt'altro che irrealistica al tempo, di un capovolgimento delle sorti del conflitto in favore dell'Italia che avrebbe permesso il ritorno in forze degli italiani nel proprio impero coloniale. In attesa e con l'obbiettivo di contribuire a questa eventuale avanzata italiana, militari, truppe coloniali, finanzieri e civili italiani, con l'appoggio di larga parte della popolazione locale, iniziarono una guerriglia volta a fiaccare l'occupante britannico con rapide azioni di disturbo e sabotaggi. L'idea era non solo di fiaccare materialmente il nemico privandolo di rifornimenti e disturbando trasporti e comunicazioni, ma anche far si che gli inglesi impiegassero un sempre maggior numero di truppe che avrebbero dovuto distogliere da latri teatri operativi, tra cui il Nord Africa, alleggerendo la pressione sulle truppe italiane impiegate in quel teatro. Queste considerazioni, molto moderne per l'epoca, furono frutto del pensiero di menti quali il tenente di cavalleria Amedeo Guillet, che si guadagnerà il soprannome di "Comandante Diavolo", il colonnello dell'esercito italiano Lucchetti, il capitano del SIM (Servizio informazione militare) Francesco de Martini, il capitano di vascello Paolo Aloisi e Luigi Cristiani, ufficiale superiore dell'MVSN (milizia volontaria per la sicurezza nazionale), meglio nota con il nome di "Camicie Nere".
Se alle menti allenate al "gioco della guerra" degli uomini sopra citati va il merito della pianificazione delle strategie militari, veri e propri atti di coraggio furono quelli portati avanti dai civili come nel caso della dottoressa Rosa Dainelli, che da sola portò avanti una coraggiosa operazione che portò alla distruzione di un importante deposito munizioni nei pressi di Addis Abeba. Nell'agosto del 1942 la dottoressa Dainelli si introdusse nel deposito di munizione inglese e vi piazzò una potente carica artigianale che deflagrando rischiò di uccidere la stessa Dainelli.
La ribellione italiana fu costantemente una spina nel fianco per l'occupante inglese. L'azione italiana si concentrò soprattutto lungo le coste con rapide puntate e missioni spionistiche presso le principali basi avversarie e con altrettanto rapide ritirate nell'entroterra che sfiancarono le forze inglesi. Oltre alla resistenza dei circa 7.000 italiani che costituivano il nerbo della guerriglia antibritannica, gli inglesi dovettero vedersela con le unità di indigeni organizzate dagli italiani decisamente ostili all'invasore britannico. I principali fautori della politica di inquadramento degli indigeni in vere e proprie formazioni militari furono Guillet, che organizzò diverse unità di cavalieri Ashmara, e Cristiani che organizzò un vero e proprio servizio di spionaggio con l'aiuto dei pescatori locali che permisero il costante controllo delle unità navali britanniche costantemente comunicati ai comandi dell'asse. L'impresa italiana venne indirettamente sostenuta anche dalla marina giapponese i cui sommergibili dotati di piccoli aerei da ricognizione disturbarono ulteriormente l'azione di repressione britannica. Nel corso del 1942 la guerriglia italiana toccò il suo apice con la rivolta di Azebò Galla, che portò all'insurrezione popolare degli indigeni che con il supporto italiano riuscirono ad avere ragione delle forze di sua maestà britannica.
Sfortunatamente per i guerriglieri italiani, le sorti della guerra alla fine del 1942 iniziarono a volgere a sfavore degli italo – tedeschi. Dopo la sconfitta subita ad El-Alamein e quindi l'inizio della ritirata degli italo – tedeschi dal Nord Africa e infine l'invasione della Sicilia da parte degli alleati nel luglio del 1943, il morale dei guerriglieri italiani andò sempre più deteriorandosi man mano che si faceva sempre più chiara l'impossibilità di ricevere alcun tipo di assistenza da parte dell'Italia o della Germania. I guerriglieri decisero dunque di distruggere l'equipaggiamento in loro possesso e cessarono le operazioni onde evitare inutili sofferenze ai numerosi civili che erano stati catturati e deportati dagli inglesi che ormai erano giunti a ritenere ogni italiano una possibile minaccia e che quindi come tali trattavano i prigionieri italiani.
Si trattò di un conflitto molto intenso nonostante la carenza di mezzi e di equipaggiamento da parte italiana. Veloci azioni si intervallarono a periodi di stasi durante le quali gli italiani studiarono l'invasore inglese. Si trattò perciò di un conflitto estremamente moderno per l'epoca, che anticipava in larga parte schemi che, con poche eccezioni, si sarebbero rivisti solo venti anni dopo durante i conflitti nel sud-est asiatico e in medio oriente.

Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia

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