(ASI) Intervista all'ingegnere Angelo Ruggeri: il tema è l'Africa, esaminata con l'ottica del passato e del presente, sia a livello culturale e letterario che dal punto di vista sociale, in collegamento con i problemi attuali dell'intero sistema politico internazionale, con un occhio anche a quello che stiamo vivendo pure nel nostro Paese.
"Dr. Angelo Ruggeri, la sua esperienza di ingegnere che ha lavorato in giro per il mondo, soprattutto in Africa, cosa ti ha insegnato dal punto di vista umano e cosa ha apportato alla tua sensibilità di scrittore? Nel suo libro di memorie "AFRICA" (Ed. Il Convivio), ho percepito quel sentimento profondo che gli scrittori chiamano mal d'Africa e che anche io ho provato. Io ho vissuto molti mesi in Sénégal per motivi musicali, avendo lavorato con il cantante di fama mondiale Youssou N'Dour e la sua band, e quest'entusiasmante esperienza mi ha lasciato un senso profondo di armonia nelle cose e nei ricordi. Per te cos'è questo mal d'Africa? Uno stato d'animo o meglio una partecipazione emotiva di chi entra in contatto con la terra africana, sin nel più profondo archetipo della coscienza? Oppure si riduce solo alla tematica biologica inerente la pura sintomatologia di chi contrae qualche malattia endemica, del luogo?"
"Volendo si potrebbe anche dare questa interpretazione. Molti bianchi che vanno in Africa alla ricerca dell'esotico e dell'avventura facilmente si prendono qualche malattia poiché il clima africano non è favorevole a noi occidentali, e ci sono molte malattie dovute a parassiti, come la malaria ed altre, un tempo frequenti anche da noi, che in Africa non sono state ancora debellate.
Però dal punto di vista letterario e sentimentale, il mal d'Africa del quale parlano gli scrittori è un'altra cosa. E' una specie di nostalgia che prende chi è vissuto per qualche tempo in Africa e poi è tornato a vivere nel proprio paese d'origine. Una nostalgia, un desiderio di tornare, un rimpianto di cose perdute, un sentimento che può parere strano perché, come tu ben sai, la vita in Africa per un bianco è dura, difficile. L'Africa offre, dona, impone sensazioni e passioni forti, che non si dimenticano: l'incontro improvviso con un elefante che esce dalla boscaglia proprio vicino a te, nero, immenso, ti saluta con un barrito alzando le orecchie e tu non sai se è meglio darsela a gambe, o restare immobile per non eccitarlo di più , e poi è lui che se ne va , forse spaventato! Un animale così grande e forte che potrebbe fare polpette di te semplicemente alzando ed abbassando la proboscide, e invece fugge spaventato da te, piccolo uomo inerme! Cosa abbiano noi, piccoli esseri bipedi, privi di artigli e zanne, che ci rende così spaventevoli a tutti gli altri animali?"
"La cattiveria, io direi. Io ho visto i grandi animali della foresta nello zoo e al circo, mi facevano pena."
"Perché anche tu sei stata in Africa. E' questo il mal d'Africa. Io ho visto le giraffe correre nella savana e la loro corsa somiglia davvero a una danza, ed anche loro vedendomi sono fuggite. Che sia questa la ragione per la quale l'uomo è stato cacciato dal paradiso terrestre? Faceva paura a tutti gli animali! I leoni ed leopardi difficilmente si fanno vedere dagli uomini e, a meno che non siano affamati per lungo digiuno, non li assalgono. Mi trovai una volta nella riserva di Chobe in Botswana, un pezzo dell'Africa ancora incontaminata, ero solo nel bush vicino ad un fiume affluente dello Zambesi, non si scorgeva l'acqua e il fiume si riconosceva soltanto per il diverso colore del verde, vidi una gazzella correre davanti a me e poi fermarsi a qualche centinaio di metri, si fermò e si volse a guardarmi. Ricordo con emozione quell'attimo: la gazzella che mi osservava, ferma, immobile in una solitudine quasi assoluta, io solo con lei che mi guardava da lontano, unici animali visibili, ma attorno a noi quanti occhi nascosti che ci osservavano, forse anche il leopardo e il leone! Non solo gli animali, ma anche il paesaggio ti affascina.
Io ho fatto molti viaggi nell'Africa meridionale, ed il più emozionante fu quello che dalla città di Durban mi portò alle cascate Vittoria in Rodesia, passando attraverso il Botswana, e durante questo viaggio capitai nella riserva del fiume Chobe, un pezzo di Africa incontaminata, reso celebre da Liz Taylor e il Burton che vi furono durante il viaggio di nozze. Ovviamente essi vi si recarono in aereo, io in automobile e probabilmente il loro viaggio fu sponsorizzato da qualche agenzia dei turismo che intendeva pubblicizzare il luogo, io vi andai per iniziativa personale."
"Suppongo che eri ben attrezzato, sei andato in jeep con rifornimenti di ogni tipo, pezzi di ricambio per l'automobile, scatolette alimentari, acqua potabile, piccoli regali da fare agli indigeni, un portafoglio ben fornito, un vocabolario nella lingua dei nativi con le frasi da usarsi nelle emergenze, mappe e carte geografiche e qualche indirizzo di persone cui ricorrere quando necessario..."
"Niente di tutto questo, sono andato alla ventura con la mia automobile Fiat 124, una normale mappa turistica e soldi quanti bastavano per un viaggio normale, tenuto conto delle distanze che mi proponevo di percorrere. E' andato tutto bene, uniche cose non previste, la pioggia che mi ha accompagnato per gran parte del viaggio e le condizioni della strada attraverso il Botswana, resa fangosa dall'acqua."
"Hai incontrato i boscimani? Ho letto da qualche parte che in quel paese ci sono i boscimani, li hai visti? Come sono?"
"Penso di averli visti, a Serowe, una città-villaggio che mi era stata descritta come una delle ultime città-villaggio tradizionali africane, città fatta di capanne, non ammassate le une sulle altre ma ognuna circondata da ampio spazio verde, con pochi edifici in muratura, fra i quali l'albergo dove mi fermai un paio di giorni. C'erano pochi bianchi, il padrone dell'albergo e tre o quattro turisti, come me forse fermati in quel luogo dalla pioggia. Una volta mentre giravo per la città vidi qualcuno che indicando alcuni ragazzini vestiti con un semplice perizoma, seduti sulle scale di un edificio pubblico, esclamò: "bushmen", boscimani, e guardandoli con maggior attenzione, mi accorsi che non erano bambini, ma adulti di piccola statura. Seppi poi che essi abitavano nelle zone interne, nel bush o deserto del Kalahari, raramente si facevano vedere nelle città ed erano considerati "misteriosi" dagli altri africani." .
" Ci può parlare delle cascate Vittoria, ne ho inteso parlare come di una meraviglia della natura."
E lo sono. I loro nomi indigeni, "L'acqua che sale" o "Il fumo che tuona", sono anche belle descrizioni di quello che tu vedi e senti avvicinandoti ad esse. Tu di lontano vedi una striscia di nebbia che sale verso il cielo, poi senti il rombo e quando sei vicino ti accorgi che la vegetazione è cambiata, il bush tropicale si è trasformato in foresta pluviale, tutto ti sembra un giardino, ma devi fare attenzione e sempre ricordare ciò che vedi scritto sui cartelli lungo la strada: "Attenzione! Siete nel mezzo della foresta africana!". Molti, nell'eccitazione del momento, se ne dimenticano e si comportano che se fossero nel parco di una città europea, e così feci anch'io che, vedendo un gruppo di elefanti ai bordi della strada mi fermai , scesi dalla macchina ed andai in mezzo a loro per fotografarli .Mi andò bene ma fui molto imprudente. Quando sei vicino alle cascate, in mezzo alla nebbia vedi l'arcobaleno e cominci a sentire una pioggerellina che ti bagna tutto, ma tu non ci fai caso perché ormai sei preso dall'emozione, giungi sull'orlo di un'enorme spaccatura che si apre nel terreno, dove l'acqua cade per una lunghezza di quasi due chilometri, ed in fondo vedi il grande gorgo da cui sale l'arcobaleno. Dall'altra parte vedi lo Zambesi, maestoso, calmo, che all'improvviso precipita con rumor di tuono. Un bel vialetto percorre tutto l'orlo della spaccatura, da un lato c'è il gorgo, dall'altro la vegetazione lussureggiante tipica delle foreste pluviali. Da lì puoi vedere anche lo Zambia, che sta proprio di fronte a te. In quel tempo Zambia e Rodesia si fronteggiavano ostilmente e, a quel che seppi poi, c'erano stati nella zona episodi di guerriglia, ma il mio viaggio fu assolutamente tranquillo, al ritorno passai per la Rodesia, dove le strade erano asfaltate ed in buone condizioni. Al Wankie Park ebbi l'emozionante incontro con l'elefante di cui ti ho parlato.."
"Quindi è questo il mal D'Africa, Angelo: il ricordo delle forti emozioni che tu hai provato laggiù e non hanno l'eguale in Italia... Le emozioni che si annidano nella superficie dell'animo per poi scendere giù nei meandri dell'inconscio, nell'insondabile realtà." .
" Sono emozioni forti, che lasciano l'impronta . Chi le ha provate, quando torna in patria, mal si ritrova nei problemi della vita cittadina, tutti i nostri problemi quotidiani gli sembrano piccoli, gli vengono in mente le parole di Dante : "L'aiola che ci fa tanto feroci", i conti della spesa, le liti con i vicini, i discorsi dei nostri politici che assomigliano a quelli delle comari, gli scioperi dei nostri operai, etc. non gli sembrano cose serie".
"Trova delle congruenze o delle incongruenze tra la situazione politico-sociale del resto del mondo e quella africana? Cosa c'è di simile e di dissimile tra il mondo industrializzato e il continente africano? Perché l'Africa trova tante difficoltà ad assimilare la civiltà occidentale?"
"Noi occidentali, e gli italiani forse più degli altri, viviamo nella convinzione che il nostro modo di vivere sia il migliore di tutti e la nostra civiltà superiore e a quella di tutti gli altri popoli. Nel resto del mondo non tutti la pensano così. Nella realtà, se ci pensiamo bene, la vita che noi facciamo è assai noiosa o almeno può sembrare assai noiosa ad altri popoli abituati alla libertà dei grandi spazi. La noia, come male del nostro vivere, non avrebbe mai afflitto i pellirossa d'America , né gli arabi dei tempi di Maometto né i polinesiani, e neppure i Greci dell'età classica. Anche l'Africa ha nel passato conosciuto civiltà assai progredite, pur diverse dalla nostra. Le condizioni climatiche e più ancora quelle culturali rendono difficile l'assimilazione dell'Africa al mondo industrializzato dell'occidente.
I problemi che assillano la nostra società certamente non sono piccoli in assoluto, ma lo sono in relazione a quelli grandissimi che chi è stato in Africa ha conosciuto e ciò rende impossibile il confronto diretto fra la situazione africana e quella europea ed ogni tipo di confronto richiede una qualche similitudine fra le cose. Le cose per cui da noi la gente soffre tanto e si adira e impreca e maledice, viste con l'occhio di chi ha vissuto per qualche tempo in Africa, sembrano sciocchezze. Da noi, se fa un temporale estivo poco più lungo del consueto, le strade delle città si allagano, si crea caos nel traffico, i giornali gridano allo scandalo, per giorni non si parla d'altro. Poi arriva l'estate e tutto si dimentica, anzi, si comincia a piangere per la siccità.
In Africa ogni anno nella stagione delle piogge, quando Dio manda l'acqua a torrenti per settimane e mesi sopra le capanne costruite con fango e paglia, interi villaggi sono sommersi e travolti, poi arriva la siccità, per mesi non scende dal cielo goccia di pioggia, gente e animali si contendono la poca acqua di pozzanghere e pozzi inquinati. E possono arrivare epidemie terribili." .
"Dr. Ruggeri forse è meglio non parlare di questo argomento, non hai letto i giornali di questi giorni? Che dico di questi giorni? In Italia ogni volta che piove più del consueto interi costoni di montagna precipitano a valle travolgendo case, strade e interi paesi. I terremoti, anche di forza non eccezionale fanno più danni da noi che nei paesi del terzo mondo ed in quanto all'inquinamento, l'acqua dei nostri fiumi non incoraggia nessuno a farsi il bagno. Più che della situazione africana faresti meglio a parlare della nostra."
"Hai ragione da vendere, Sarah, ma questa è merce che nessuno vuol comprare. E' più facile parlare dei drammi africani, i nostri compatrioti pensano di perdere in dignità se si fanno conoscere i mali che affliggono il nostro paese. Un tempo non lontano anche noi eravamo un popolo di emigranti, milioni di italiani hanno popolato continenti lontani, oggi noi subiamo l'immigrazione, cioè milioni di stranieri sono venuti recentemente in Italia in cerca di lavoro e di una vita migliore e c'è chi protesta : "tolgono lavoro agli italiani". Tutto ciò si dice ed è motivo di dibattito sulla stampa. Non si dice tutta la verità, non si dice che ancor oggi molti italiani emigrano cercando fuori d'Italia occasioni di lavoro che l'Italia non offre. A differenza che nel passato non sono operai e contadini che emigrano, ma persone colte, spesso laureati che in Italia non trovano lavoro nonostante che l'Italia abbia un grande bisogno di esperti in ogni campo. Ma questo è un altro discorso." .
"Allora torniamo a parlare dell'Africa. Lei, certamente si poni fra gli ottimisti! Per quanto drammatici siano i tuoi racconti africani essi non pareggiano i resoconti giornalistici che ci vengono da quelle regioni. Come mi concili la tua idilliaca visione dei villaggi africani con le immagini e le notizie di massacri, epidemie e fame che ci arrivano così spesso da ogni parte dell'Africa?"
"Io ho raccontato le mie personali esperienze di viaggi in zone dell'Africa in un tempo lontano, negli anni '72 – '76, e dico che ho viaggiato molto, sia da solo che in compagnia nell'Africa meridionale, ho visitato villaggi africani, ho dormito in capanne di africani, sono stato in regioni dove erano in corso guerriglie indipendentiste come in Rodesia e in Mozambico ed in paesi a quel tempo assai poco visitati dagli europei, Botswana, Lesotho, Swaziland. Non sono mai stato testimone né tanto meno protagonista di episodi di violenza, non ho mai avuto problemi di alcun genere con gli africani di razza nera. Vero è che ho sentito racconti di stragi nel Congo all'epoca della guerra successiva al ritiro dei Belgi ed altri racconti di violenze durante le guerre di indipendenza nel Mozambico e nell'Angola, ed ho letto sui giornali italiani di quello che accadde nel Biafra al tempo della guerra di secessione di questa regione dal resto della Nigeria, ma non essendo stato testimone di questi eventi, non ne ho parlato. Per quanto, dalle notizie che qua e là ho raccolto, io mi sia fatto la convinzione che, nel Congo e nel Biafra almeno, molta della violenza fu operata dai mercenari europei al servizio delle multinazionali che volevano assicurarsi il controllo delle risorse minerarie delle regioni ricche di quei paesi, e potrebbe anche avanzarsi l'ipotesi, già fatta per altre guerre, dell'azione di quanti hanno interesse a mantenere attivo il florido mercato delle armi.".
"Lasciamo stare questi argomenti troppo grandi per noi e ci parli invece di ciò che ha conosciuto per esperienza diretta, del Sudafrica dico. Ho letto qualche tempo fa il libro dello scrittore sudafricano J. M. Coetzee, che ha vinto il premio Nobel nel 2003. Pauroso, terribile..."
"Intende il libro "Vergogna" ? L'ho letto anche io.. come posso darle torto? Se è vero ciò che scrive quel libro, la situazione sudafricana deve essere peggiorata drammaticamente negli ultimi tempi, anche se a me esso ha dato l'impressione di appartenere al genere che oggi va tanto di moda in tutto l'occidente, sesso, abiezione, violenza con stupro collettivo e progressivo degrado fisico e morale di un professore universitario. Una storia del tipo "Arancia meccanica", del genere di quelle che da noi cominciarono ad apparire una ventina di anni fa ed hanno criminalizzato i movimenti studenteschi europei." .
"Quel libro ha vinto il premio Nobel, non può raccontare una storia completamente inventata e il Governo Sudafricano non lo ha proibito, tu sai che oggi governano i neri in quel Paese.."
Dunque, ragionando al modo degli europei, quel libro prova che oggi c'è libertà in Sudafrica, altrimenti esso sarebbe stato proibito e l'autore incarcerato o peggio, ma io sono d'accordo sul fatto che negli ultimi decenni la situazione in Africa e non solo in Africa sia drammaticamente cambiata in peggio. Io avevo previsto, e lo posso provare con i miei scritti degli anni '80, gravi esplosioni di violenza in Africa se i paesi africani avessero seguito il modello di sviluppo imposto o consigliato dagli occidentali. Ed avevo previsto ciò assieme a molti altri, perché quel modello di sviluppo, oggi chiamato del "libero mercato" e della "globalizzazione" dell'economia, era assolutamente incompatibile con le condizioni dell'Africa. Il clima in primo luogo, le tradizioni e la cultura della gente poi, e soprattutto la mancanza di "infrastrutture", cioè tutto quel sistema di strade, linee elettriche, acquedotti, fognature, ospedali, scuole, non permettevano la sostituzione indolore di una economia agricola e pastorale con una industriale. Per mandare avanti un'industria occorrono tecnici, ingegneri laureati ed esperti: al momento dell'indipendenza quasi tutti i paesi africani potevano contare i loro laureati sulle dita di una mano. Una città che supera il milione di abitanti è già difficilmente gestibile da noi, figuriamoci nel clima e nell'ambiente africano! Dalle campagne arrivano nelle città torme di disperati che si sistemano in immense favelas attorno ai centri cittadini, e le campagne che si spopolano non riescono a sfamare la popolazione crescente pur fra tanta miseria. Le ricchezze minerarie, invece di portare benessere, alimentano le discordie fra le regioni ricche e le povere di uno stesso Stato, le industrie nazionali, per quanti sforzi facciano, non reggono alla concorrenza di quelle dei paesi ricchi. E noi dobbiamo semplicemente ricordare ciò che accadde in Italia subito dopo l'Unità, quando i governi perseguirono questa politica di industrializzazione forzata. L'economia della parte più povera dell'Italia ovvero del meridione e delle isole fu rovinata perché i prodotti industriali importati dal nord misero fuori mercato quelli artigianali prodotti localmente e le prime macchine usate in agricoltura provocarono una grande disoccupazione fra il bracciantato agricolo. La catastrofe fu per un certo periodo evitata soltanto dall'emigrazione massiccia di milioni di lavoratori poveri verso le Americhe e l'Australia. Per uscire da questa situazione i governi italiani non trovarono niente di meglio che lanciarsi in una politica coloniale, la ricerca del posto al sole, con le guerre di Etiopia e di Libia, fino poi ad arrivare alla prima guerra mondiale. Dunque se queste cose accaddero in Italia quando perseguì la strada dell'industrializzazione veloce, dove sta la meraviglia quando si scopre che fatti del genere, in condizioni ancor più difficili, accadono oggi in Africa?. Ma tu stessa puoi constatare che oggi lo stesso fenomeno si sta ripetendo in Italia: la nostra agricoltura è in crisi perché i prezzi dei prodotti agricoli sono troppo bassi a causa della concorrenza straniera e lo stesso accade dei prodotti dell'industria. Negli anni '60 Che Guevara disse una frase poi rimasta famosa: "Il libero mercato nei paesi poveri significa libera volpe in libero pollaio". Ciò è puntualmente accaduto.
"Dr Ruggeri ho ascoltato con interesse il racconto delle sue esperienze in Sudafrica, però non hai risposto alla domanda che molti si pongono: per quale ragione il Sudafrica dei bianchi è così velocemente crollato, uno Stato che aveva dietro di sé un'esistenza secolare, un popolo, quello dei Boeri che aveva coraggiosamente combattuto contro gli Inglesi riscuotendo le simpatie generali in Europa, in pochi anni è stato prima smantellato e poi ridotto nelle paurose condizioni descritte da J. M. Coetzee."
"Credo di averle già risposto: io penso che J. M. Coetzee abbia esagerato nel suo pessimismo lasciandosi trascinare dal desiderio di impressionare il pubblico, obbedendo alle mode del momento.
Secondo me, più che le difficoltà economiche e militari è stata la sfiducia nella possibilità di esistere come stato sovrano, dopo che tutte le potenze europee avevano lasciato l'Africa, a determinare il crollo della repubblica bianca Sudafricana. Per continuare ad esistere come stato indipendente sarebbe stato necessario apportare cambiamenti sostanziali, associando i popoli neri al potere. Ma nemmeno i bianchi immigrati godevano dei diritti civili, perché quando manca la sicurezza sul posto di lavoro, quando si vive nell'incertezza perenne su cosa porterà il domani, quando non si possiede un'abitazione certa, né diritto all'assistenza medica e alla pensione, quali altri diritti civili possono sussistere? Se un uomo può essere da un giorno all'altro licenziato dal luogo di lavoro e buttato sul lastrico per nessun altra ragione che il suo rifiuto di sottostare a regole immorali, di quale libertà si va cianciando? Quale democrazia? Tutti i discorsi politici si scontravano in Sudafrica contro queste difficoltà insormontabili, i neri non potevano dar fiducia ai governanti bianchi perché non vedevano alcun miglioramento nelle loro condizioni di vita, ma nemmeno gli operai bianchi si fidavano di promesse prive di contenuto ed anzi essi temevano l'emarginazione e la disoccupazione se ai neri si fossero concessi pari diritti sul lavoro. Questa situazione spingeva la gente verso una corsa al guadagno alquanto folle: si giocava molto in Sudafrica, in borsa e ai cavalli. Non c'era moralità negli appalti e la competizione sul lavoro era feroce. Il divario tra il livello di vita dei bianchi e quello dei neri era troppo grande perché tra le due etnie potesse stabilirsi un qualche dialogo e le leggi sul lavoro, che riservavano ai bianchi tutte le professioni che richiedevano una qualche specializzazione, impedivano la formazione di una classe media nera. Secondo me fu la prevalenza data agli interessi economici immediati delle imprese invece che ai diritti umani a causare lo sfascio perché non ci fu mai vera integrazione e parità di diritti fra le varie etnie e i numerosi popoli presenti nel Paese.".
"Per concludere questo nostro interessante dialogo, può l'Africa mostrare la via di una rivoluzione positiva nel futuro?"
"Tu sei stata in Sénégal. Io ricordo bene che proprio nel periodo in cui stavo in Sudafrica, il Sénégal era guidato da uno scrittore e poeta che godeva di notevole prestigio anche in Occidente, Léopold Senghor, che propugnava la via di un socialismo africano di tipo cristiano, fondato sullo sviluppo del villaggio tradizionale africano con democrazia diretta, e parità fra uomini e donne. Ricordo anche che negli Stati Uniti era nato un movimento di afroamericani che auspicavano il ritorno in Africa dei neri americani, i quali avrebbero potuto contribuire alla modernizzazione dei paesi d'origine. Quando in Mozambico ci fu la rivoluzione dei garofani, ricordo di aver parlato con molti portoghesi che guardavano al presidente Léopold Senghor come ad un possibile leader del rinnovamento africano. Gli stessi militari che avevano fatto la rivoluzione in Portogallo, manifestavano simpatia per quel modello. Poi a livello mondiale ci fu una deriva verso il capitalismo liberista.".
"E il ruolo delle donne? Nel mio soggiorno a Dakar qualche anno fa, ho percepito nel mondo femminile una grande capacità ed una bella vitalità sociale, ovvero la donna perlomeno in Sénégal era il traino della struttura sociale di quel pezzo di Africa, forse frutto di un archetipo dominante ancora tutto da indagare per la società africana.. malgrado le discriminazioni e le pratiche di mutilazione. Mi sai dire cosa ti ha insegnato la tua esperienza anche alla luce di un futuro imminente per questo continente che deve dare il suo potenziale non completamente espresso? E come mai invece il ruolo delle donne, da noi in Italia, dal punto di vista politico e sociale è ancora così involuto e marginale? Dipende forse da inveterati sistemi e meccanismi di potere che ostacolano la capacità delle donne di guidare il nostro Paese?"
"Cara Sarah, lei stessa ha dato la risposta alla sua domanda. In Africa, nella economia tradizionale, essendo gli uomini assenti per lunghi periodi per la caccia e la pastorizia, le donne naturalmente assumevano un ruolo dominante nell'economia domestica e questo ruolo hanno saputo conservare e rafforzare. In Italia il progredire della cultura e dell'educazione scolastica certamente avrà la meglio sui pregiudizi antichi che vogliono la donna subordinata all'uomo in tutte quelle attività che gli uomini per secoli hanno riservato a sé, quelle politiche in primo luogo.
(Angelo Ruggeri, Collazzone-Pg : e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)
Sarah Minciotti – Agenzia Stampa Italia