Storia. Regia Corazzata Roma: 71° Anniversario dell’affondamento

(ASI) “Era una vera e propria fortezza d’acciaio, il cui alto torrione era circondato da una selva di cannoni  e mitragliere di ogni calibro”- con queste parole viene descritta la Regia Corazzata Roma dall’immaginario protagonista del libro “La corazzata Roma: Vita e morte di un gigante d’acciaio” di D. Carro e G.Barretta.

Nella giornata del 9 settembre 1943, la corazzata Roma, veniva affondata dalle forze aeree tedesche al largo della Sardegna.Anche se meno “famosa” dell’8 settembre, data dell’armistizio, fù una data che segnò uno spartiacque, poiché la maggioranza degli storici contemporanei sono concordi sul fatto che l’affondamento della Roma sia stato il primo atto della “guerra di  liberazione” contro l’ex alleato tedesco.

La corazzata R.N. (Regia Nave) Roma, fù l’ammiraglia della flotta italiana e in assoluto l’unità da combattimento più grande ed armata nella storia della marina italiana. Terza nata della classe “Littorio”, assieme alle sorelle “Littorio” (poi ribattezzata “Italia”) e Vittorio Veneto rappresentò la punta di diamante della Marina Italiana, e uno degli sforzi industriali più importanti della storia nazionale. La classe “Littorio” fù progettata dall’ingengner Umberto Pugliese, e alla sua realizzazione contribuirono infatti le maggiori aziende italiane dell’epoca, come Ansaldo, Safat, Oto Melara, Breda, Galileo e Safar.

La Roma era lunga 240,7 m, larga 32,9. Aveva un dislocamento di 46.000 tonnellate e un impianto propulsivo su turbine a vapore erogante 160.000 cv che la spingevano fino alla velocità massima di più di 31 nodi (oltre i 57 km/h) . L’armamento principale era costituito da 9 cannoni da 381mm in 3 torri (2 a prua e 1 a poppa) con tre cannoni ciascuna (trinate) capaci di sparare proiettili da 885kg a 45 km di distanza. L’armamento secondario, raccolto intorno al torrione di comando e alle sovrastrutture a centro nave, prevedeva 12 cannoni da 152mm in 4 torri trinate sistemate a formare un rettangolo lungo i lati del quale furono installati 12 cannoni antiaerei da 90mm in torri singole ripartiti in due gruppi da 6 torrette per lato.

Oltre a quanto sopra nel corso della costruzione e della seppur breve carriera operativa, furono aggiunti numerosi cannoncini e mitragliere antiaeree di diversi calibri per un totale di 26 armi per la difesa a breve raggio. La nave aveva inoltre una dotazione di 3 caccia Reggiane Re 2000. L’equipaggio era costituito da oltre 2.000 tra marinai e ufficiali.

Queste caratteristiche collocavano la classe “Littorio” in generale, e la Roma in particolare, tra le più potenti corazzate mai costruite in un epoca in cui la costruzione di tale tipo di nave rappresentava una delle unità di misura del potere e del prestigio internazionali.

La nave venne impostata nel 1938 e varata il giorno prima dell’entrata in guerra italiana, il 9 giugno 1940. Il termine dei lavori di allestimento e la consegna ufficiale avvenne il 14 giugno 1942.

Data la sua entrata in servizio a guerra inoltrata, la Roma non prese parte a nessuna operazione di rilievo contro le forze anglo-americane. Ciò nonostante molti storici navali sono concordi nell’affermare che il più grande contributo della Roma durante il suo primo anno di attività fù la sua mera esistenza, poiché costrinse le forze aereonavali  alleate a costanti sforzi nel tentativo di distruggerla. Inoltre la sua tarda entrata in servizio permise di dotarla di importanti aggiornamenti tecnici come il radar  EC3/ter “Gufo” sviluppato dalla Safar di Milano.

La mattina dell’8 settembre la Roma si trovava alla base navale di La Spezia, assieme alle due unità gemelle, e alla maggior parte delle unità navali italiane di superficie, nell’ambito di un’operazione congiunta con l’aeronautica tedesca (Luftwaffe) volta a distruggere le forze navali alleate che dirigevano su Salerno per attuare il ben noto sbarco sulle coste italiane. La sera stessa, il comandante della formazione italiana, Ammiraglio Carlo Bergamini, fu informata dal capo di stato maggiore della marina, ammiraglio De Courten, che sarebbe stato reso pubblico l’armistizio firmato in gran segreto 5 giorni prima e di cui lo stesso Bergamini non era al corrente. Tra le clausole dell’armistizio, oltre alla consegna delle navi italiane agli alleati, vi era anche l’accordo che la divulgazione dell’armistizio avrebbe coinciso con l’inizio dello sbarco a Salerno. Con molta riluttanza, e non prima di avere espresso la propria preferenza per l’autoaffondamento della flotta italiana, Bergamini accettò l’incarico.

Poco dopo la divulgazione dell’armistizio, i tedeschi pianificarono di impossessarsi delle unità italiane, le quali però lasciarono il porto di La Spezia alle 3 di notte del 9 settembre facendo rotta per l’isola della Maddalena, in Sardegna, dove inizialmente era previsto l’insediamento del Re e del governo italiano.

Gli avvenimenti confusi del giorno 9 settembre impedirono fin quasi all’ultimo momento a Bergamini di sapere che non solo tale piano era stato cancellato, ma che i tedeschi, che ne erano a conoscenza, avevano già occupato l’isola nel tentativo di catturare la formazione italiana, e che la nuova destinazione era Bona, in Algeria. Mentre la navigazione proseguiva ad ovest della costa sarda, il comando della marina chiese la copertura aerea per la flotta ma omise di indicare che la formazione si trovava ad ovest della Sardegna e non a Est. Quindi la già esigua forza di 4 caccia Macchi 202 decollati da Vena Fiorita, vicino Olbia, cercò senza esito per più di un ora la squadra italiana tra la Sardegna e la Toscana. Nel frattempo i tedeschi decisero di distruggere le tre corazzate italiane della formazione per impedire che potessero essere utilizzate dagli anglo americani. Per aumentare le possibilità di successo fu deciso di utilizzare una nuova arma semi-sperimentale: il missile anti-nave radio guidato Ru SD 1400 Fritz X.

Alle 15:10 i 28 bombardieri Dornier 217k armati con il Fritz X raggiunsero le unità italiane, le quali, a causa dell’ordine di attaccare solo se attaccate, attesero che gli aerei tedeschi iniziassero l’attacco dando a questi ultimi il vantaggio decisivo che avrebbe segnato di li a poco la fine della Roma.  

Dopo i primi infruttuosi attacchi tedeschi alla corazzata Italia e all’incrociatore Eugenio di Savoia, la flotta italiana aprì il fuoco ma i tedeschi, forti della loro nuova e rivoluzionaria arma, volavano a oltre 5.000m, cioè fuori dalla portata dei cannoni antiaerei da 90mm. Inoltre, dato l’inusuale angolo di attacco praticamente sopra la verticale delle navi italiane, fu impossibile inquadrarli con i pezzi a lunga gittata da 152mm. Alle 15.42 la Roma fu colpita da un primo missile che ne attraversò il ponte, ed esplose sott’acqua. Il secondo colpo, quello fatale, colpì la Roma alle 15.50, tra il torrione di comando e la torre sopraelevata n°2, facendo esplodere il deposito di munizioni (Santabarbara) e le caldaie di prua. Pochi minuti dopo, alle 16:11, la Roma affondò dopo essersi capovolta e con essa perirono 1352 tra ufficiali e marinai.

Nel corso degli anni la storia della Roma è stata oggetto di numerose illazioni e strumentalizzazioni, oltre che di forti controversie che resero ancor più difficili e delicate le ricerche del relitto. Ulteriore difficoltà fu la non concordanza sulla posizione esatta della nave tra le fonti italiane e quelle tedesche. Alla fine, grazie a una collaborazione tra la marina Militare e l’ingegnere Guido Gay, e avvalendosi dei dati di precedenti tentativi infruttuosi della francese COMEX e della Marina Militare, il 28 giugno 2012 venne finalmente ritrovato il relitto a 1.000m di profondità nel golfo dell’Asinara e a 16 miglia dalla costa. Il relitto è stato immediatamente dichiarato cimitero di guerra e come tale non può essere toccato.

La vicenda della Roma, al di là delle letture politiche, ideologiche o dietrologiche, è forse uno tra i più lampanti  esempi della portata del caos seguito all’armistizio dell’8 settembre e alla rocambolesca fuga dei vertici di governo italiano e della famiglia reale. L’Italia si ritrovò ad essere un paese privo di una leadership, il cui popolo e territorio furono in balia della Germania e degli alleati che vi proseguirono il confronto bellico fino alla resa tedesca 2 anni più tardi.


  Alessandro Cenusa - Agenzia Stampa Italia

 

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