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Cucina gourmet nella “Terra dei fuochi”
Intervista al pizzaiolo gourmet Gianfranco Iervolino. La tradizione e la ricercatezza della cucina gourmet per ridare nuova linfa e vitalità alla produzione agricola campana.

(ASI) Solo tre mesi fa la C.I.A. – Confederazione italiana agricoltori- lanciava l’allarme. Nel mese di novembre del 2013, subito dopo la pubblicazione delle dichiarazioni scioccanti rese dal pentito Carmine Schiavone nel 1997 alla Commissione parlamentare sulle Ecomafie, la vendita della produzione ortofrutticola “made in Campania” ha subito un decremento di circa il 40% rispetto ai mesi precedenti. Un dato che potrebbe avere effetti devastanti per l’economia di una regione già martoriata dalla incalzante crisi economica e che mette un punto interrogativo su quella che una volta era definita “Campania Felix” e che rappresenta la terza regione in Italia per produzione agricola con oltre 136 mila aziende e 65 mila addetti.

Eppure nonostante la cruda realtà, ci sono persone che ancora credono nella bontà e genuinità dei prodotti campani e nella loro fondamentale importanza per superare una crisi che ha come causa principale un’informazione troppo spesso falsa, strumentale e tendenziosa, se solo si pensa che oltre il 95 per cento della superficie agricola campana è sana e che tutti i prodotti sono controllati e sottoposti a serie verifiche prima di essere commercializzati.

Ed è l’applicazione concreta di quella che costituisce una sorta di “legge del contrappasso”, quella per cui, proprio in questo determinato momento storico, la salvaguardia delle eccellenze campane passa per la ricercatezza in cucina e la rivisitazione dei piatti tipici della tradizione gastronomica attraverso l’uso di prodotti dop e appartenenti alla c.d. “filiera corta”.

Questa è la filosofia di Gianfranco Iervolino, 40 anni, da Torre Annunziata in provincia di Napoli, pizzaiolo per passione e per vocazione, docente all’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo Bra in provincia di Cuneo, tiene anche corsi a professionisti del settore sulla pizza gourmet nella scuola “Dolce e Salato” di Maddaloni in provincia di Caserta.

La storia tra Gianfranco ed il piatto principe della tradizione culinaria partenopea ha inizio alla fine degli anni 2000 dopo che, tornato in Italia dopo un’esperienza di 2 anni e mezzo in Inghilterra, accetta l’allettante proposta di dirigere un ristorante di Pompei. Successivamente, dopo aver raggiunto importanti risultati, si appassiona all’arte bianca in seguito alla proposta di rilanciare una pizzeria che, così, gli viene data in gestione. Iervolino si rimbocca le maniche, studia notte e giorno da autodidatta, con orgoglio, per conoscere e approfondire i segreti della pizza.

Nel 2000, però, la sua fama inizia a diffondersi e così sono in tanti a proporgli allettanti progetti. Di lì in poi anni di soddisfazioni condite da recensioni di riviste enogastronomiche che lo inseriscono nelle loro guide. In questo periodo si iscrive all’Api, Associazione Pizzerie Italiane, e nei campionati di pizza si classifica sempre tra i primi 10.

Gianfranco Iervolino nel 2005 è già un pizzaiolo molto conosciuto e così la ‘Di Prisco Company’, titolare di ‘Villa Guarracino’, ‘Club la Vela’ e ‘Palazzo Vialdo’, decide di offrirgli un contratto irrinunciabile. In quegli anni si confronta con Chef di pregio come Michele De Leo, Vincenzo Guarino, Vincenzo Cioffi, Antonio Tecchia e tanti altri, e capisce che come si evolveva la cucina, così poteva evolversi anche la pizza. Sperimenta così le tecniche di cottura gourmet.

In questo percorso di crescita Iervolino è affiancato dal grandissimo gastronomo Giuseppe Acciaio della Gma Import di Pompei, e da Antonio Formisano, fondamentali per la scelta dei prodotti made in Campania. I numeri e i risultati sono fantastici e così, dopo sei mesi, Acciaio gli affida il compito di presenziare al Pizza Up di Vighizzolo d’Este, evento creato dal direttore marketing Piero Gabrieli. Lì conosce il noto giornalista enogastronomico Luciano Pignataro e non solo, anche Massobrio, Marchi e Cozzella. Incontri di pregio che portano Iervolino su “wine e blog” di Pignataro.

L’anno dopo, tornato al Pizza Up, vince il premio nella categoria “divulgazione della pizza gourmet”. Contemporaneamente arriva il “premio Golosario” a Milano, con il dottor Paolo Massobrio, unico pizzaiolo premiato in Campania.

Lo intervistiamo presso la Pizzeria “Villa Giovanna “ di Ottaviano, noto locale immerso nel verde della Valle delle Delizie, dove da luglio dello scorso anno e con notevole successo, continua a proporre il suo progetto di pizza gourmet, per capire in cosa consiste questo tipo di cucina e qual è il futuro della tradizione gastronomica campana dopo la divulgazione degli ultimi e preoccupanti dati sull’esportazione agricola campana.

GIANFRANCO, DACCI LA DEFINIZIONE DI “CUCINA GOURMET”

“Gourmet significa palato fine, buongustaio, ovvero ricercatezza e cultura del poco ma buono. Sono venuto a contatto con questa scuola di origine francese poiché ho avuto esperienze di lavoro con chef stellati e sono passato a questo modus operandi perché ho pensato di rivalutare la pizza, piatto povero per eccellenza, con tecniche gourmet innovative “self made” e con prodotti di stagione e di filiera corta. Ad esempio io uso per la mia pizza prodotti autoctoni come il “pomodorino di Corbara”, tipico della costiera amalfitana, San Marzano dop, olio biologico macinato a freddo con olive “Nocellara” del Vesuvio, olio cilentano delle colline del salernitano e della penisola sorrentina, il famoso “Piennolo del Vesuvio” fresco, alici di Cetara. Il segreto sta poi pure nell’uso di farine integrali come quelle macinate a pietra come si usava una volta, in cui si sente il sapore tipico del grano ed è più digeribile perché contiene meno carboidrati e più fibre, quindi, anche sotto il profilo nutrizionale, si ottiene una pizza molto meno calorica rispetto alla tradizionale. L’uso di questi ingredienti,  unito ai tempi lunghi di maturazione degli impasti (almeno 48 ore), fanno sì che il prodotto finito sia altamente digeribile.”

SAPPIAMO CHE ULTIMAMENTE LA TUA FAMA E QUELLA DELLA CUCINA NAPOLETANA HA TRAVALICATO LE ALPI ED E’ ARRIVATA SINO A PARIGI.

“Sì, ho vissuto un’esperienza professionale ed umana molto emozionante. Sono stato messo in contatto da un’amica giornalista, Marina Alaimo, con Mauro Bochicchio, Presidente di “Consortium Paris”, che ha ideato ed organizzato la prima edizione dell’evento  CULTUR.AL.

Il 27 gennaio, nella sala ristorante del palazzo dell’UNESCO, nell’ambito di una cena organizzata per promuovere, difendere e valorizzare, attraverso le testimonianze, il lavoro dei tanti garanti della tipicità territoriale campana e della filiera corta, ho presentato ai vari invitati, tra cui molti Ambasciatori delle Delegazioni Permanenti degli Stati membri dell’UNESCO, lo “street food” napoletano ovvero pietanze della tradizione popolare rivisitate a mio modo. Tra le tante, enorme successo hanno riscosso la pizza fritta con cicoli e ricotta, pizza “Montanara” con pomodoro San Marzano dop e “provolone del monaco”, frittelle con rapa rossa, focaccine con pomodoro di Corbara e Piennolo del Vesuvio. I commenti sia degli chef stellati che degli invitati è stato positivissimo e molti hanno fatti addirittura il bis,  senza badare all’etichetta che un luogo così significativo avrebbe richiesto”.

ALLA LUCE DELLA TUA ESPERIENZA, QUALE IL FUTURO PER IL SUCCESSO DELLA CUCINA ITALIANA E DI QUELLA CAMPANA IN PARTICOLARE?

Il futuro della cucina campana è legata allo sviluppo di tre fattori fondamentali: 1) PROFESSIONALITA’: significa affidarsi, sia da parte degli imprenditori che del consumatore finale, alle mani di chi ha studiato ed ha acquisito, come me, esperienze importanti nel settore, investendo tempo e denaro e profondendo passione nel proprio lavoro. Oggi, troppo spesso, il settore è nelle mani di gente che si improvvisa pizzaiolo e che non bada alla qualità ed alla genuinità dei prodotti perché non li conosce o non sa coglierne la differenza con quelli dozzinali in commercio. 2) QUALITA’: anche e soprattutto per il rilancio della economia agricola locale bisogna cercare prodotti di qualità della filiera a chilometri zero e farine di alto valore nutrizionale e di grande digeribilità. Il tutto nell’ambito di una ritrovata etica professionale per dare sempre prodotti freschi ai clienti, senza badare all’uso sconsiderato del riciclo per risparmiare sui costi. La roba vecchia si getta e non si conserva!. 3) PREZZO:              per offrire qualità servono i soldi poiché i prodotti della cucina gourmet sono di nicchia. L’analisi ponderata tra costi e ricavi attesi, il c.d. FOOD COST, deve essere alla base della offerta al pubblico da parte degli imprenditori. Solo un prezzo equo, nell’ambito di un prodotto di alta qualità, può fungere da traino allo sviluppo di questa cucina allorché il prezzo diventa allettante per i clienti e consente un margine di ricavo giusto agli imprenditori. Oggigiorno, complice la crisi economica che sta attraversando il nostro paese, sono calate le presenze e compito degli imprenditori è anche quello di dare uno slancio al settore attraverso la riproposizione di una cucina povera ma elaborata.”

Lasciamo Gianfranco al suo lavoro, nella speranza che la sua passione e la sua dedizione fungano da sprone a tanti giovani campani a non abbandonare la loro Terra, la Terra madre che, a dispetto dello stupro e dello scempio subito dall’uomo, può costituire ancora un’ ottima risorsa ed un ottimo investimento per il futuro. Il mito della Campania Felix non può essere offuscato dalla mano criminale di pochi affaristi e delinquenti. E’ compito anche all’opinione pubblica dare il proprio contributo per far sì che la Campania torni a vivere i vecchi fasti.

Fernando Cerrato-Agenzia Stampa Italia





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