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Gabriele D’Annunzio e la terra di Ciociaria

(ASI) Il Vate e la terra di Ciociaria in un binomio che li ha visti vicini nella realizzazione di uno dei tanti capolavori di D’Annunzio. Il romanzo in questione è il “Trionfo della morte”. Un romanzo che vide Gabriele D’Annunzio lavorarci sopra per un periodo di sei anni della sua vita; dal 1889 al 1894. Lavoro che lo stesso D’Annunzio portava all’editore Treves il 26 marzo 1889 con il titolo iniziale che era “Un’agonia”. Titolo del romanzo travagliato, perché dopo soli tre mesi da “Un’agonia” cambiò in “L’invincibile”, nome questo che segnò gran parte della storia editoriale del lavoro. Ma alle varie difficoltà incontrate all’inizio, ne arrivò un’altra: il servizio militare che incompeva al quale il D’Annunzio fu chiamato nel luglio del 1889 presso i Cavalleggeri di Alessandria, presso la caserma Macao sita a Roma. Servizio militare che terminò il 1890. Il romanzo però vide la sua inattività per altri due anni per cause varie. Il “Trionfo della morte” sarebbe uscito con alcune modifiche, che vedevano soltanto la realizzazione di alcune parti. In quel periodo il Vate aveva una relazione, tra le tanti della sua vita; con Barbara Leoni e, proprio nel romanzo in esame sono riportate alcune lettere che i due si sono scambiate. Nel romanzo D’Annunzio e Barbara sono Giorgio Aurispa e Ippolita Sanzio. Ma cosa ha a che fare il romanzo con la terra di Ciociaria? I due amanti; Giorgio ed Ippolita, per festeggiare il loro secondo anniversario decidono di trascorrere una giornata ad Albano Laziale, bellissima cittadina dei Castelli Romani. Per raggiungere la cittadina allora bisogna fare la linea ferroviaria Roma-Velletri-Segni-Paliano per poi cambiare alla stazione di Cecchina. I due amanti salirono sul treno. Il convoglio arrivò alla stazione di Segni-Paliano. Quest’ultimo paese a nord della provincia di Frosinone. All’arrivo Giorgio si affacciò dal finestrino e disse: “Albano?”, “No” rispose il capostazione; “Va ad Albano? Doveva scendere alla Cecchina signore” continuò il capostazione. I due allora si chiedono: “Dov’è Segni?” Dov’è Paliano?”

“Non si scorgevano intorno paesi. Le colline basse apparivano tutte ignude, dubbiamente verdeggianti, sotto un ciel grigio. Un solo alberello, smilzo e torto, presso il binario, si dondolava nell’umidità. Come piovigginava, i due smarriti si rifugiarono dentro la stazione, in una piccola stanza dov’era anche un camino spento. Su una parete pendeva a brandelli una carta geografica solcata da linee nere; su un’altra parete pendeva un cartone quadrato recante l’elogio di un elixir. Di fronte al caminetto, ormai immemore de’ fuochi, era un canapè ricoperto di tela cerata; il quale versava da molte ferite la sua anima di stoppa. Si vedeva l’alberello agitarsi con un moto quasi circolare, come sotto lo sforzo di una mano che volesse sradicarlo. Ambedue rimasero qualche minuto a guardare quella furiosa agitazione che assumeva una strana apparenza di vita cosciente, nello squallore, nella nudità, nella supina inerzia della campagna. Ippolita provò quasi un senso di misericordia. Quella immaginata sofferenza dell’albero li metteva al cospetto della loro proprio pena”. Sulla stazione silenzio e solitudine: “Uscirono e si misero a passeggiare sul selciato umido che riluceva a un sole fioco. L’aria fredda li punse. D’intorno le collinette digradanti verdeggiavano solcate da strisce chiarissime. L’alberello stillante aveva di tratto in tratto un luccichìo. disse Ippolita mentre lo guardava”.

Il ricordo dei due amanti in terra ciociara è presente anche in un sonetto che ha per titolo “L’alberello” che reca la data Segni-Paliano 2 aprile 1889 che recita così: “O tu, nell’aria, torto e senza fiori, alberello di Segni Paliano che deridendo accenni di lontano alla inutile nostra impazienza. Or quando fiorirai, livido nano, se non dunque fiorisci a la presenza di lei che chiude la divina essenza d’ogni fiore nel sangue sovrumano? Ben ti compiango. Già di tra le spesse argentee frecce de la nube occhieggia languidamente a’ colli umili il Sole. E fende l’aria un sibilo…Oh promesse del desiderio! O come a noi fiammeggia ne l’anima secreta un altro sole”.

Davide Caluppi Agenzia Stampa Italia

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