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Gabriele d'Annunzio ad Atene
(ASI) Sono iniziati ufficialmente i festeggiamenti e le iniziative per i 150 anni dalla nascita di Gabriele d'Annunzio. Giornali, loro inserti, supplementi, gruppi di diffusione si stanno preparando per il 12 marzo, con un bellissimo ginepraio di eventi in tutta la penisola.
Sicuramente si ricorderanno, molti aspetti del Vate, dalla sua vita "avventurosa" alla sua poesia. E' stato tuttavia protagonista di viaggi minori, poco conosciuti. Perciò ho pensato ad Atene e alla visita del poeta. Sicuramente avrà trovato una città in forma smagliante, priva del gioco usurocratico che la sta portando al collasso. Non ha sicuramente trovato emissari della Troika, né scioperi generali, tantomeno negozi dati alle fiamme. Il popolo poteva mangiare, quantomeno, e non rovistare nelle immondizie per trovare gli avanzi di ciò che "l'occidente" evoluto lascia.

Non si tratta poi di secoli orsono, ma del 1895. Gabriele d'Annunzio giungeva ad Atene, come una sorta di "appassionato adoratore". Nello stesso periodo, Eleonora Duse stava facendo la sua tournée. E il poeta la seguiva, quasi fosse la sua ombra, e compariva - a quanto affermava - a terminare sotto l'azzurro cielo dell'Ellade il suo nuovo romanzo, Il Fuoco, il quale provocava proprio più tardi la rottura tra il Vate e la Musa. D'Annunzio, in quel periodo, si trovava all'apogeo della sua reputazione letteraria. La sua gloria politica e militare sarebbe venuta molto più tardi. La fama mondiale lo aveva preceduto ad Atene, dove era tradotto, letto, ammirato, e dove aveva imitatori nell'aristocrazia spirituale e mondana del Paese.

E il suo arrivo, dunque, non poteva che essere un avvenimento; ammiratori ed ammiratrici alzavano intorno a lui un trionfo di lodi. Ed egli avanzava in mezzo a nubi d'incenso, che i fedeli bruciavano al suo passaggio. Un giorno - ricorda Paolo Nirvanas, pseudonimo di Pietro Apostolidis - d'Annunzio entrava in Piazza Sintagma, nella "Libreria Internazionale", dove si trovava. Il Nirvanas, che si trovava assieme a Michele Mitakis, invitava l'amico a distogliere gli occhi da un libro, per scorgere d'Annunzio. E questi, gridava in francese, in tono trionfale: "Voici l'annonciateur!".

D'Annunzio lo aveva intenso, benché fingesse di essere assorto nello sfogliare un libro che teneva in mano. Era chiaro tuttavia che si sentisse lusingato dal complimento dell'ateniese a lui ignoto.

All'epoca, Paolo Nirvanas collaborava al giornale Asty, che tra i giornali del tempo era quello che dava maggiore spazio alla letteratura. Il giornalista, ancora giovane, stilisticamente aveva subito il fascino dell'enfasi dannunziana. Al contempo, affascinato dall'arte della Duse, univa il Poeta e la Tragica in un'ammirazione comune, così come lo erano nel loro amore. Il Nirvanas pubblicava così un articolo traboccante di lirismo ed ammirazione dal titolo "I Barbari". D'Annunzio, letta la traduzione dell'articolo, si commuoveva per l'encomio solenne. Così, la mattina seguente, il Nirvanas riceveva in redazione una lettera del poeta scritta in carta di gran lusso, adornata dal suo famoso motto "Per non dormire", chiuso fra due rami di lauro. Con la grande scrittura verticale propria del poeta, ringraziava il giornalista ateniese per le sue "alate parole" (parole ailées) nel testo e terminava con la speranza di incontrarlo, lì o altrove.

La sorte favoriva la conoscenza la conoscenza tra i due, esattamente due giorni dopo, al banchetto che il giornale Asty offriva al Poeta e alla Duse presso l'albergo Grande Bretagne. La Duse non poteva venire, scusandosi con una lettera cordiale ai direttori del giornale, letta all'inizio del pranzo. D'Annunzio, invece, si presentava.

Il Nirvanas, lo ricorda come una persona straordinaria. Nella sua scintillante conversazione, nemmeno una parola trita o volgare, né una frase banale. Poesia pura. Per tutta la durata del pranzo, non cessava, parlando o rispondendo alle domande (l'Asty aveva raccolto a quel convivio i rappresentanti più eletti del mondo intellettuale greco) di tessere l'elogio del "miracolo greco" nella filosofia, nella poesia e nell'arte, con una conoscenza ed una penetrazione che facevano impressione. Un miracolo che oggidì, sembra essersi totalmente rovesciato grazie alla troika.

D'Annunzio, insisteva altresì per ascoltare devi versi greci letterari moderni. Giovanni Polemis, (lirico neo - greco), recitava così una sua poesia, e d'Annunzio non mancava di lodare di armonia e grazia la lingua greca moderna. Dopo il pranzo, seguiva l'invito ad intrattenersi presso il nobile Tipaldo Kozakis. E D'Annunzio, affascinato dalla notte "di cristallo" come soleva chiamarla, esprimeva il desiderio di visitare il Partenone. Tuttavia, quando gli comunicavano che nella casa di Kozakis attendeva, con ansia di ammirarlo, tutto il fiore della bellezza ateniese, il Poeta decise di sacrificare il Tempio alla bellezza moderna.

"Avete ragione" - diceva loro. "Lasciamo il Partenone e andiamo, un'ora prima, a questa casa ospitale, ove possiamo incontrare Pallade Atena e le Cariatidi". Queste ultime interessavano il Poeta in modo particolare, e poco più tardi il Vate veniva circondato da belle ammiratrici, incantate dal fascino della sua bella parola.  Dopo esser stato tutta la serata in compagnia delle sue belle Cariatidi, avrebbe atteso qualche giorno, per partire per Corfù, per trascorrere due mesi all'ombra pacifica degli uliveti. E lì avrebbe scritto il suo romanzo, Il Fuoco, pubblicato poi a Milano nel 1900. E quando lo avrebbe terminato, dichiarava "ritornerò ad Atene per appenderlo ad una colonna del Partenone come offerta a Pallade".

D'Annunzio tuttavia, giungeva la prima volta ad Atene da appassionato adoratore, ma invece di dimenticarsi della Grecia, come fanno tutti i seduttori, se ne ricordava pochi anni dopo, in un suo libro di versi, per imbrattarla di fango e per chiamare la nazione ellenica moderna, né più né meno che una "baldracca". Nella Laus vitae, dominato dai ricordi classici e intento a rievocare gli antichi miti, non ha avuto occhi per la Grecia moderna. E il Vate, sarà pur stato scorretto. Nulla però, se pensiamo, all'ingiustizia che il popolo Greco sta vivendo dall'avvento dell'eurocrazia.

Valentino Quintana per Agenzia Stampa Italia

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