Nella piccola cittadina di Rio Saliceto, vicino a Brescello, il paese di don Camillo e Peppone, ad un certo punto ci s’imbatte in una indicazione inequivocabile: “Circo Togni”. Una freccia indica il quartier generale della storica famiglia del circo che ha avuto in Darix il suo faro di riferimento. E qui Livio insieme ai fratelli Corrado e Davio, e al loro staff, pianificano tournée e strategie davanti ad una cartina geografia del mondo ormai punteggiata di tante bandierine e una sola è piantata sul Belpaese.
Uno degli obiettivi del nuovo corso è quello di portare tutti i circhi, nessuno escluso, all’interno dell’Enc: se la sentirebbe di fare un appello per convincere chi ancora non ne fa parte?
Forse il modo migliore per ottenere l’adesione generale sarebbe quello di dire: “Non vi vogliamo” (sorride Livio Togni, ndr)… Conosco i miei colleghi: quando li chiami non vengono, se invece non li chiami hanno paura di essere esclusi e di perdere il treno, ed è la volta che si muovono.
Penso poi che non dobbiamo fare niente per fare entrare chi non è dell’idea di partecipare con spirito associativo. Condivido la scelta di offrire dei “vantaggi” a chi fa parte dell’Ente: non ha senso che pochi tirino e tanti abbiano i benefici, e questo credo sia stato compreso dalla base. L’avvio della collaborazione con l’Anci, alla quale l’Ente Circhi segnalerà la lista dei circhi associati e dunque i Comuni sapranno se un circo fa parte oppure no dell’associazione di categoria con le sue regole, garanzie, organizzazione, comunicazione, eccetera, la ritengo una conquista importante.
Qual è la situazione del circo oggi in Italia?
Farei una distinzione fra il circo in Italia e il circo italiano. Anche il Soleil è circo in Italia, e presenta uno spettacolo diverso col quale riesce ancora a fare molto bene i suoi interessi. Ma non credo che quella del Soleil possa essere una soluzione generalizzabile, cioè adottata da molti.
Per quale motivo?
Perché gli investimenti richiesti per arrivare al “modello Soleil” sono tali per poter raggiungere quei livelli che non sono alla portata di tutti. Tra l’altro se ci fosse più di un Soleil, se un domani dovessero sorgere più concorrenti alla sua altezza, non so se riuscirebbe ad andare avanti. Il Soleil può continuare ad essere un evento finché resta unico e ogni tanto sceglie anche alcune grandi città italiane, ma se solo tornasse due o tre volte l’anno nel nostro Paese credo che finirebbe molto velocemente.
Veniamo invece al circo italiano.
Il circo italiano è caratterizzato da una tipologia familiare, tante persone che vivono di questo e che sono disposte a tutto per andare avanti, e dico proprio a tutto, anche a sacrifici inimmaginabili, in alcuni casi gente che fa il circo in un modo più vicino alla disperazione che ad un progetto di vita. Un discorso a parte meritano i circhi maggiori – Medrano, Moira Orfei, Americano, Darix Togni – e devo dire che mi stupisco per come facciano ad andare avanti. Faccio un esempio che conosco bene perché mi riguarda: il Darix Togni ha lavorato a Milano per 50 giorni fra novembre e gennaio, ha lavorato abbastanza bene se ci riferiamo all’incasso, ma ha speso di più di quanto abbia incassato. Oggi le spese massacrano i circhi e non sono quelle per gli artisti, che non sono aumentate.
E quali allora?
Le piazze costano carissime, la pubblicità non ne parliamo: il Darix Togni ha speso a Milano circa 220 mila euro per la promozione, contando solo manifesti, tasse di affissione, inserzioni sui giornali… esclusa la colonna pubblicitaria del circo. Non parliamo poi dei viaggi, delle spese di trasferimento di un circo.
Parliamone per una volta.
Le spese per i trasferimenti in ferrovia sono aumentate di circa cinque volte, ma non è finita qui. Dopo Milano avevamo pensato di andare in Calabria: per il viaggio su rotaia avremmo speso 40 mila euro, altrettanti per i camion, e ulteriori 10 mila euro necessari per raggiungere la piazza. Avremmo speso 90 mila euro per andare in Calabria da Milano. Sarà mai possibile? A questa cifra sarebbe stato necessario aggiungere tutto il resto, dalla pubblicità in giù. Per questa ragione i circhi italiani decidono sempre più spesso di andare all’estero per lunghi periodi.
Nel vostro caso in Ghana, in questo momento, giusto?
Esattamente. Ci siamo andati spendendo nel viaggio circa 150 mila mila euro e li possiamo contare su degli sponsor che spendono 200 mila euro di pubblicità.
Qual è stato l’aggancio per il Ghana?
Come avviene per la scelta di qualunque paese straniero, prima di tutto saggiamo la volontà politico-istituzionale di ricevere il circo, ottenendo anche il patrocinio del ministero per i beni culturali.
Avete debuttato il 2 marzo ad Accra: quale accoglienza state ricevendo?
E’ un terreno vergine, anche troppo. Siamo il primo circo in assoluto ad andare in Ghana e il problema che stiamo incontrando è che la gente non sa cos’è circo. La parola circus non evoca niente in quelle popolazioni. Un manifesto non sanno cos’è e lo stesso dicasi per lo spettacolo, per gli animali … non sanno cos’è la tigre.
E quindi che strategie state usando per “evangelizzare” il Ghana al più grande spettacolo del mondo?
Siccome la classe dirigente nera, che è la maggioranza, scambia la tigre per un cane e il circo per una chiesa, pescando con la loro immaginazione nei riferimenti culturali che hanno, abbiamo pensato di puntare su degli spot, che inizialmente erano di 30 secondi ma li abbiamo portati a un minuto e mezzo perché c’è bisogno di far conoscere qualcosa che per loro non esisteva.
Ma il pubblico viene al circo?
Si, comincia a farlo, ma la cosa curiosa è che la gente sta in piedi sopra alle sedie perché ha paura, si emoziona tantissimo quando entrano in pista la tigre, il coccodrillo, il serpente, e alla fine ci chiedono se nella tigre c’era un pupazzo. Non lo credono possibile e quindi si può immaginare che stupore provino, si vedono facce meravigliate a confronto delle quali non è niente quella di un bambino a Disneyland.
Quanto rimarrete in Ghana?
Per cinque, forse sei mesi, toccando tre città: Accra, Kumasi e Takoradi. Gli imprevisti però non mancano mai e dunque si potrebbero rendere necessarie delle variazioni.
Prossima destinazione dopo il Ghana?
Stiamo valutando… una è l’Arabia Saudita che si ripropone.
Comunque la tendenza è ormai quella di lavorare soprattutto all’estero e pochi mesi in Italia.
Si, in Italia dall’autunno a gennaio, quattro mesi sono più che sufficienti perché lavorare nel nostro Paese, per le ragioni che ho già spiegato, la prima delle quali riguarda le spese per piazze, pubblicità e altro, non è più possibile. E dunque è diventato meglio tentare la sorte all’estero piuttosto che rimanere in Italia. Partendo per paesi lontani, pur con tutte le incognite che ci sono, hai almeno la speranza di farcela, restando in Italia no.
Quali Paesi avete toccato nelle vostre tournée all’estero?
In Europa siamo stati praticamente ovunque tranne che in Spagna, e soprattutto abbiamo lavorato benissimo in Belgio, Olanda e Francia, ma in quest’ultima nazione siamo stati costretti a non metterci più piede per un vero e proprio ostracismo verso i circhi stranieri, e il mio in particolare.
Fuori Europa?
Siria, Iran, Libano, Algeria, Turchia, Qatar, Marocco, Egitto e adesso nella Repubblica del Ghana.
Torniamo alle spese che oggi si deve sobbarcare un circo in Italia: si legge spesso sui giornali, soprattutto in dichiarazioni degli animalisti, che i circhi vivono grazie ai contributi statali. E così?
Non solo non è vero ma si tratta di informazioni diffamatorie e calunniose. Il massimo di contributo ministeriale assegnato ad uno dei circhi maggiori, si aggira sui 350 mila euro l’anno, la media è molto molto più bassa. Ma sa quanto spende un circo grande ogni giorno? Fra i 10 e i 18 mila euro, dunque il contributo pubblico copre dai 10 ai 25 giorni su 365. Questa è la verità.
Si sente dire anche che il contributo derivante dal FUS per i circhi è di 6 o 7 milioni di euro l’anno.
Altra calunnia. A differenza dei soldi che finiscono agli animalisti, quelli che lo Stato distribuisce ai circhi sono noti e consultabili sul sito del ministero per i Beni e le Attività Culturali: i circhi tutti insieme non ricevono più di 2 milioni di euro l’anno, mentre gli altri 4 milioni di euro circa vanno a scuole di circo, festival, editoria, eventi promossi da Comuni, Università, associazioni varie, una casa di riposo per gli anziani del circo e dello spettacolo viaggiante.
Quello dei contributi è comunque un tema molto dedicato: non pensa che occorrerebbe rivedere un po’ le forme di finanziamento?
Sicuramente si. Secondo me il contributo pubblico non dovrebbe essere dato ai circhi ma alle persone che vanno al circo. Questo farebbe fare anche un passo in avanti nel senso della trasparenza, tutti sarebbero “costretti” a denunciare il 100% e questo porterebbe un ulteriore beneficio al circo: finalmente si saprebbe la vera dimensione del fenomeno circo, che continua ad avere un pubblico enorme.