(ASI) Il Pnrr stanzia 20 miliardi di euro per il rilancio della sanità pubblica, con interventi che puntano a rinnovare le strutture del Servizio sanitario, ma soprattutto a sviluppare l’assistenza di prossimità e la digitalizzazione attraverso la realizzazione di case e ospedali di comunità, l’ammodernamento tecnologico e digitale ospedaliero, l’assistenza domiciliare, la telemedicina.
Una riforma che potrebbe ridisegnare l’assetto del Servizio sanitario, ma che lascia fuori una componente decisiva: il personale sanitario, già oggi oggetto di una forte carenza, che rischia di essere ulteriormente aggravata dalle nuove esigenze derivanti dalla riforma. Carenza, formazione, riorganizzazione del personale del Servizio sanitario alla luce delle riforme previste dal Pnrr sono state al centro della seconda giornata della SUMMER SCHOOL 2022 – Il PNRR tra economia di guerra e innovazione dirompente, organizzata da Motore Sanità.
“Il successo delle case di comunità e delle altre strutture previste dal DM77 – dice Anna Lisa Mandorino, segretario generale di Cittadinanzattiva – dipenderà anche dalla capacità di popolarle con operatori e competenze in grado di garantire la risposta ai bisogni dei cittadini. Ciò richiederà un cambiamento di sistema attraverso un investimento negli operatori, che è stato a lungo trascurato”.
Da questo punto di vista la carenza di personale è la prime delle sfide, come ricorda Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi: “Il Paese affronta una carenza importante di infermieri, legata non solo al fatto che i posti disponibili nelle università sono limitati dal punto di vista numerico. La causa alla base di questa carenza è che la professione infermieristica è molto poco attrattiva. Alla politica e alle istituzioni chiediamo di affrontare il tema della questione infermieristica alla radice, lavorando sulle ragioni che rendono poco attrattiva la professione: la mancanza di sviluppo di carriera, il riconoscimento economico, la valorizzazione delle competenze”.
Decisivo, secondo Mangiacavalli, è anche l’aspetto della formazione dei professionisti: “Oggi gli infermieri hanno una formazione 3+2. Il titolo abilitante è la formazione triennale. Conseguito questo titolo, gli infermieri sono tutti uguali. Abbiamo bisogno di lavorare affinché la formazione diventi più articolata, andando verso specializzazioni a orientamento clinico-assistenziale per dare una prospettiva di sviluppo della professione. Le nuove strutture territoriali, per esempio le case di comunità, non saranno una panacea: è decisivo lavorare sulla costruzione della rete, formale e informale, coinvolgendo studi dei medici di medicina generale, le farmacie (specie quelle rurali), la specialistica ambulatoriale, il privato accreditato, il sistema socia-assistenziale”.
In questo processo, anche le farmacie potranno giocare un ruolo importante, come visto già durante la pandemia. “La pandemia – dice Giovanni Petrosillo, vicepresidente Federfarma e presidente Federfarma Sunifarci – ha fatto trovare davanti a un bivio: fare i farmacisti, con camice e caduceo, a dispensare farmaci, o andare verso il servizio sanitario. Abbiamo fatto questa seconda scelta. Questa scelta ha fatto sì che cambiasse anche la percezione della nostra professione: da una connotazione più commerciale, cittadini e decisori hanno cominciato a percepire nelle farmacie un presidio sanitario di prossimità. Il DM77 deve essere il l’occasione per poter sfruttare tutto quello che c’è sul territorio,
Per Roberta Zanetti, dirigente Professioni sanitarie dell’Azienda Ligure Sanitaria (A.Li.Sa) e consigliere dell’Ordine TSRM-PSTRP della Liguria, la riforma della sanità territoriale sarà l’occasione per “valorizzare le diverse professionalità e competenze del Servizio sanitario al fine di dare un servizio migliore ai cittadini”. Inoltre, “se di rinnovamento del territorio si vuole parlare, non si può farlo senza un rinnovato dialogo ospedale-territorio e una nuova modalità di dialogo tra professionisti”.
Foad Aodi - Agenzia Stampa Italia