(ASI) Roma - Su 800.000 persone senza tessera sanitaria – tra immigrati, persone senza dimora o con altre forme di disagio – solo il 7% durante il Covid era in possesso di green pass. Sono le allarmanti cifre fornite in occasione del XXX Rapporto immigrazione della Caritas italiana e della Fondazione Migrantes.
E’ evidente, inoltre, quello che è stato il palese ritardo nelle vaccinazioni dei migranti, con grandi difficoltà di accesso per chi non era iscritto al Servizio sanitario nazionale.
Il Commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo, al tempo del suo incarico, aveva invitato le regioni, «considerato l’avanzamento della campagna vaccinale», a «intensificare le misure già in atto rivolte a favorire la vaccinazione di quelle categorie di persone che si trovavano in particolari condizioni di disagio o che non risultano al momento censite da tessera sanitaria».
Le difficoltà erano e sono state tante. La prima dipendeva dalle piattaforme di prenotazione del vaccino anti Covid: su 19 regioni e 2 province autonome solo 13 davano possibilità di accedere a chi non era iscritto al sistema sanitario nazionale.
Non è stato possibile possibile farlo per molto tempo sui siti di Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Umbria, Lazio, Molise, province autonome di Bolzano e Trento. In questi territori erano organizzate modalità di vaccinazione alternative: open day, ambulatori mobili, partnership con enti del terzo settore e del privato sociale.
E poi c’era il problema di non poco conto dei vaccinati con vaccini non riconosciuti in Europa e questo riguardava tanti cittadini, sia italiani che di origine straniera che non potevano avere il green Pass .
Nei paesi occidentali per ogni 100 persone in piena Pandemia erano disponibili circa 100 dosi, nei paesi poveri ogni 100 persone disponevano di circa 1,5 dosi. Solo il 3% sono stati vaccinati in Africa.
Vanno ricordate, poi, le cifre dei contagi tra gli immigrati che erano dal 3 al 6%, segno che non erano loro a portare il Covid né altre malattie. Tra gli irregolari si sono registrati percentuali dell’1,5-2% di contagi durante la pandemia perché molti lavoravano nelle case come colf o badanti.
Foad Aodi - Agenzia Stampa Italia