(ASI) La Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale, con la pronuncia depositata il 5 agosto 2019, al numero 35660, ha respinto il ricorso di una dottoressa del Pronto soccorso, che si era limitata a leggere il referto del radiologo senza guardare le immagini delle radiografie e che quindi, non si era accorta delle numerose fratture che la paziente avevo subito e che neppure in radiologia avevano visto. In seguito a questa svista la persona incidentata aveva iniziato un calvario e un periodo di allettamento forzato, che l’aveva condotta a morire per atelettasia polmonare, ovvero il collasso del tessuto polmonare con perdita di volume.
La dottoressa incriminata aveva tentato, nei precedenti gradi di giudizio, di difendersi sostenendo ch’ella non era specializzata in radiologia e che, quindi, non fosse tenuta a controllare le immagini degli esami, ma solo a leggere il referto redatto dal radiologo competente.
Purtroppo per lei la Corte Suprema di Cassazione non è stata della stessa opinione, ritenendo che il comportamento tenuto sia dal radiologo sia dal pronto Soccorso sia stato compiuto in violazione delle regole della prudenza e della diligenza. Le immagini radiografiche, dicono gli Ermellini, erano nettamente positive, come anche il referto degli operatori del 118. Basarsi soltanto su ciò che scrive il radiologo, anche se è lo specialista deputato all’interpretazione dei fotogrammi diagnostici, espone il medico a responsabilità grave. La peculiarità del caso è dovuta al fatto che le immagini diagnostiche erano a disposizione della dottoressa del Pronto Soccorso e la loro lettura diretta è resa possibile dal supporto materiale (lastra negativa, stampa fotografica, CD rom o immagine online visionabile da monitor).
La difesa del medico ha tentato anche la carta della revisione processuale, quello strumento residuale e rarissimo, che consente di mettere in discussione una sentenza per fatti sopraggiunti o scoperti dopo la pronuncia. In particolare, nel caso in esame, i difensori hanno invocato l’art. 630, 1° comma, lett. C) del codice di procedura penale che consente di rivalutare prove già analizzate, se nel frattempo siano divenuti disponibili nuovi strumenti o nuove scoperte scientifiche che riescano, per così dire, a leggere in modo più aderente alla realtà, ciò che prima sembrava contrario all’imputato (si pensi all’esame del DNA, per esempio).
Ma anche su questo argomento i giudici del Palazzaccio non sono stati d’accordo e sentenziano che non può parlarsi di revisione, perché le prove sono state valutate tutte correttamente e che, tramite il gravame, si vorrebbe introdurre prove nuove o far valutare le prove già esaminate.
La Corte, quindi, rigetta il ricorso e condanna la dottoressa al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della sanzione pecuniaria per € 3.000.
Leggere una radiografia è mestiere del radiologo ma non leggerla non è mestiere del Pronto soccorso.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia