(ASI) – Abruzzo - Esistono pochissimi luoghi al mondo in grado di mostrare il legame tra natura e sacralità: tra questi c’è il meraviglioso massiccio della Majella, il secondo più alto e il più vasto dell' Appennino che si erge nell'Abruzzo centro – meridionale, non molto lontano dall'Adriatico, appendice del Mar Mediterraneo.
La storia locale indica tale montagna come culla del Cristianesimo in Abruzzo e del centro - sud, meta di grandi personaggi della storia religiosa e di numerosi pellegrinaggi. Si tratta di un ambiente che sin dall’antichità ha fatto da sfondo, tramite la natura con i suoi misteriosi fenomeni e per via della forte dipendenza che legava l’uomo ad essa, al sorgere di luoghi di culto per le divinità quali sorgenti, torrenti, alberi e rocce.
La montagna, dalla nord - occidentale Valle dell' Orfento in giù, iniziò a veder sorgere ripari, grotte che spesso e volentieri furono trasformati in eremi e conventi maggiori. Il massiccio era fortemente predisposto per ospitare questo genere di insediamenti, probabilmente per i suoi valloni che anche se nascondono non isolano e consentono di vivere bene la vita spirituale senza dividere la comunità monastica da quella civilizzata.
Ogni santuario porta con sé una leggenda, tra cui quella dei sette santi eremiti che la tradizione del luogo cambia in quella di sette paesani imparentati. Stessa cosa vale per la Valle dell’Orfento, che si narra furono fondati da sei fratelli e una sorella, che a Caramanico Terme (Pe) sono rappresentati in maniera simbolica in cima a delle colonne come fossero santi stiliti.
L’eremo rappresenta un luogo di confine tra divinità pagane, misteri della natura, presenze spaventose e società organizzate. Si tratta di una sorta di portale sul mondo del sacro e della spiritualità. Tramite questo portale siamo in grado di districarci nel tempo e nello spazio della Majella, Montagna Sacra.
Ci spostiamo nella grotta del Colle di Rapino, da sempre il luogo di culto per eccellenza, grazie alla sua penombra e ai misteri che la avvolgono. Nell’era paleolitica, essa veniva utilizzata come ricovero dai cacciatori di quel tempo.
La mistica dell’uomo primitivo si basava sulla conoscenza degli animali, tanto che predatori come il lupo, esperto di caccia o la lontra, mezzo pesce e mezza martora, agile pescatrice, erano venerati come dei. Prede quali il cervo o altri animali furono utilizzati per lo svolgimento di culti propiziatori atti a favorire caccia, pesca e raccolta. Tra gli animali con grandi doti da scalatori spiccava il camoscio che attirava i cacciatori in alta montagna. A testimonianza di ciò sono stati rinvenuti diversi reperti archeologici appartenenti all’era paleolitica sul monte Acquaviva, seconda cima del massiccio con i suoi 2.737 metri.
Non era soltanto la caccia ad attirare gli uomini in tale area ma anche la possibilità di reperire pietra calcarea che, spezzata dal gelo, consentiva di fabbricare armi e attrezzi. In queste zone era anche possibile trovare cuscini di fiori, oggetto di culto dell’uomo paleolitico, con i quali essi erano soliti seppellire i propri morti.
Più in là nel tempo sarà possibile trovare tracce della società pastorale tramite i Tolos, capolavori della cultura del muro a secco. Si tratta di ripari che si trovano in aree dove non vi sono quelli naturali. I buchi realizzati nel muro a secco hanno fatto da habitat per molti animali antichi tra cui le lucertole.
Anche i Romani lasciarono tracce della loro presenza religiosa e delle loro divinità in quella zona, piegando le popolazioni dei Peligni e dei Frentani e costruendo importanti centri urbani quali Juvanum. Le divinità della società pastorale vennero incluse nel culto di Ercole e ai piedi del Morrone vi sono reperti di un tempio di quel periodo.
I boschi sono stati un altro elemento fondamentale della montagna sacra poiché spingono ad allontanarsi dal caos del mondo civilizzato e a godere a pieno della natura. Tutto ciò, d’altronde, è sempre stato alla base del pensiero eremitico. A rafforzare la sacralità di tale montagna, vi è la presenza dell’orso bruno, che abita grotte e foreste.
L’eremitismo è un fenomeno che si è diffuso pian piano nei primi secoli del Cristianesimo, affermandosi dapprima come ascetismo domestico, poi appartandosi fuori dai villaggi ed infine svelandosi in tutta la sua purezza vedendo l’uomo solo in mezzo alla natura.
Si tratta di una vera e propria ricerca di dominio della Natura, che spinge l’uomo ad andare al di là dei propri limiti e l’eremitismo è la prova del potere sulla natura, della capacità di intervenire su di essa compiendo miracoli.
Un esempio è l’eremo di San Giovanni nell’Orfento ubicato a 1227 metri e scavato nella roccia. Tale luogo incantato è attraversato da un’imponente cascata, chiamata della Sfischia, che dà l’idea della potenza dell’acqua.
L’acqua è stata grande oggetto di culto e nella Valle dell’Orfento è un elemento chiave che incide sul paesaggio e gli dona un aspetto drammatico quanto miracoloso. Non a caso, nella già sacra Majella degli eremiti, la Valle dell’Orfento costituiva un luogo ad alta concentrazione mistica. Nella grotta di Sant’Angelo a Palombara, a pochi metri dall’entrata, si trovano 2 vasche atte a raccogliere le acque scavate nella roccia e si dice che sia stato un santuario dedicato a Bona, dea della fertilità. L’aspersione dei seni delle donne con l’acqua di tale grotta avrebbe donato loro latte e favorito la fertilità.
La società pastorale non era minacciata solo da minacce naturali quali predatori o calamità, ma anche da liti per assicurarsi pascoli e ricoveri, che vedevano protagonisti monaci e pastori. Liti, che erano causa di continui cambi di possesso dei luoghi di ricovero.
Erano molto importanti anche i pascoli alti e controllarli e regolarne l’accesso era importantissimo. Luoghi come la valle di Fara San Martino, il cui unico accesso era costituito da una strettoia larga circa un metro e mezzo, erano sotto lo stretto controllo di coloro che detenevano il potere. Poco più in là sorgeva il monastero di San Martino in Valle, oggi seppellito da oltre 10 metri di detriti. Per far passare le greggi bisognava pagare un tributo.
Il commercio influenzava gli eremi e ne determinava lo sviluppo in monasteri o meno. L’eremo di San Nicola di Coccia, ad esempio, sorse su una sorgente e fu trasformato in un piccolo monastero poiché ubicato in un punto strategico sotto il valico che unisce la Valle Peligna con quella dell’Aventino e della costa adriatica.
Le grandi valli e altopiani situati sotto la Majella videro invece sorgere grandi centri urbani tra cui Pescocostanzo, città d’arte e sciistica sita sull’Appennino. A Pescocostanzo si trova la grande basilica di Santa Maria del Colle, fondata nell’XI secolo, simbolo di ricchezza e potere di quel periodo. Gli arredi interni molto ricchi adornati con alto artigianato artistico locale sono una ulteriore testimonianza dell’alto tenore di vita condotto dalla comunità percolata.
Tutt’altro discorso riguarda invece gli eremi lontani dalle città, come Santa Croce e Sant’Onofrio al Morrone, che rappresentano invece la santità dell’eremitismo. Sant’Onofrio fu una figura molto importante dell’eremitismo e diede il nome all’ultimo eremo fatto costruire per ordine di Pietro al Morrone, ossia Papa Celestino V. Molte delle sue tradizioni sono collegate alla grotta dove era ubicato il giaciglio in pietra del santo, oggetto dell’antico rito della strofinazione.
Celestino V vi abitò dopo un lungo periodo trascorso nella Valle dell’Orfento. La sua fu una solitudine relativa poiché egli fu spesso oggetto di pellegrinaggi.
Un altro luogo incantato, meta dei pellegrinaggi di San Celestino V. Si tratta dell’abbadia Santo Spirito a Majella, che a quel tempo era l’unico eremo a possedere il titolo di monastero. In mille anni il luogo è stato soggetto a numerosi cambiamenti ma conserva un fascino senza tempo in particolare per l’atmosfera di mistero che proviene dal dedalo di scale. Più di 150 scalini su cui è incisa una via crucis costituiscono una sala santa scavata nella roccia che conducono all’erimitorio di Maria Maddalena. Indimenticabili le penitenze, le quaresime, le veglie, le genuflessioni notturne di Fra Pietro che sono tangibili in questo luogo sacro.
Il paesaggio dona al luogo una certa sacralità influenzando le espressioni religiose e laiche. L’uomo gestisce tale spazio determinandone lo sviluppo e la conservazione di tale identità. Tali luoghi donano pace e purezza e meritano di essere rispettati.
Attualmente, i luoghi più grandi della Majella fanno parte di un Parco Nazionale e l’augurio è quello che la presenza naturalista lasci segni positivi come quelli lasciati dalla presenza religiosa. Alcuni di questi segni sono già visibile e sono rappresentati dal ritorno del camoscio, del cervo, del capriolo. Si spera che in futuro venga reintrodotta la lontra.
È fondamentale, infatti, che non si venga a perdere il legame tra mistica, sacralità e natura che si esprime in tutta la sua pienezza in luoghi come ad esempio Sant’Angelo in Vituris, luogo la cui fitta vegetazione ne nasconde la vista, dimenticato dalla maggioranza delle persone.
Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia