(ASI) Avremmo preferito il silenzio, pudico e doveroso, davanti all’indagine inquietante della magistratura che ha scoperto un’associazione mafiosa autoctona a Roma, capitale d’Italia. E invece del silenzio, che mai come in questa circostanza sarebbe stato d’oro, i politici si sono lanciati - come capita sempre - in un’irresistibile frenesia di dichiarazioni, avventate e deliranti.
Prima di tutto per cercare, in qualche modo, di giustificarsi e di prendere le distanze dagli impresentabili protagonisti di questa storia vergognosa, ma anche avventurandosi a dare giudizi e valutazioni, nella stragrande maggioranza dei casi, indecenti. Con un unico effetto: convincere anche i più tenaci che il livello di chi è stato chiamato a governarci è d’infima qualità. Insomma, peggio di così questi politici non avremmo potuto averli.
Sono stati tutti a dire che non conoscevano nessuno e poi le fotografie pubblicate dai giornali, hanno smentito clamorosamente le affermazioni menzognere; allora hanno provato a dare patetiche giustificazioni, più gravi delle menzogne: “Eravamo lì per la campagna elettorale”. Logica suggerisce di ritenere che in campagna elettorale il voto si chieda agli amici e conoscenti, non certamente a persone mai conosciute. Che pena!
E adesso c’è una grande indecorosa zuffa se ci siano o no le condizioni per sciogliere il consiglio comunale di Roma per infiltrazioni mafiose. Ho già scritto che per meno, molto meno, in Calabria, senza nessun indagato, sono stati sciolti molti consigli comunali.
Rosy Bindi, presidente della commissione antimafia, spesso si è precipitata, con i commissari, nei paesini calabresi, sollecitando il prefetto a intervenire quando si potevano in qualche modo ipotizzare, non dico connivenze, ma solo contatti, con persone in odore di ‘ndrangheta, adesso è molto più cauta, si limita a dire “che ci sono le condizioni per verificare se il Comune va sciolto oppure no”. Veramente non sarebbe sciolto il comune, semmai il consiglio comunale.
Dal canto suo, il ministro dell’Interno, Angelino Alfano anche lui dalla firma facile quando si è trattato di annullare le elezioni di paesi del Sud, ora si limita a dire che “ci andrà con i piedi di piombo”. Ma il più sorprendente è stato il presidente del Senato, Pietro Grasso che dopo aver riconosciuto l’esistenza di un “sodalizio mafioso vero e proprio” aggiunge che prima di sciogliere un Comune serve che i fatti vengano acclarati da una sentenza, insomma “ci vuole bene altro”. E qui veramente si rimane sorpresi e sbalorditi, perché non è per niente vero, perché non è così. Lo stupore è maggiore perché è detto da un ex magistrato che è stato anche procuratore nazionale antimafia.
E domenica sera all’inaugurazione della stagione lirica al Teatro alla Scala a Milano, il ministro della Cultura, Dario Franceschini, a proposito delle manifestazioni di protesta che ci sono state fuori dal teatro ha detto che questi disordini danneggiano l’immagine del nostro Paese nel mondo. E’ il caso che qualcuno gli spieghi che l’immagine dell’Italia la rovinano (l’hanno già rovinata) le mafie, la corruzione e la classe politica che abbiamo.
Fortunato Vinci - Agenzia Stampa Italia