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(ASI) Le hanno definite sfide, data la situazione di crisi, la riduzione di finanziamenti al servizio sanitario nazionale e le nuove domande di servizi, per esempio quella degli anziani non autosufficienti. Sfide mirate ad obiettivi alti e innovativi, capaci di superare l’esame arcigno degli indicatori che misurano l’eccellenza, da un lato; e di non pregiudicare la sostenibilità del sistema in termini economici, dall’altro.

L’Azienda Ospedaliera di Perugia fa il punto sui risultati raggiunti e sugli obiettivi futuri in un partecipato incontro all’Aula Magna della Facoltà di Medicina del capoluogo umbro. E lo fa ben consapevole di essere la capofila di un sistema sanitario regionale che ha avuto molti riconoscimenti di essere tra i migliori del paese. Il direttore generale Walter Orlandi parla di orgoglio per i risultati raggiunti, tanto più in un contesto nazionale di riduzione deli trasferimenti al servizio sanitario. Successi dettagliatamente elencati da Manuela Pioppo, direttore del Presidio “Santa Maria della Misericordia”.  Per esempio, esser riusciti a portare in pochi anni gli interventi di riduzione della frattura del femore in 48 ore, dal 15% al 71 %. O aver ridotto  i costi inappropriati del pronto soccorso, o aver avuto il riconoscimento dei tre “bollini rosa” per i servizi dedicati alle donne: da ultimo la banca del latte, la sala per nutrici ed i servizi sulla problematica della  violenza verso le donne, attivati al pronto soccorso. Oppure, i risultati raggiunti con il progetto “Ospedale senza dolore”, con il quale sono stati formati più di 1200 operatori per la gestione e riduzione del dolore nelle varie fasi del ricovero. O, ancora, i riconoscimenti avuti dal “Programma nazionale esiti Agenas”, che ha misurato circa cento indicatori di qualità, riscontrando che, in ben il 57% di essi, l’Azienda Ospedaliera di Perugia è sopra la media nazionale. O, anche, la realizzazione della cartella infermieristica informatizzata; e la capacità di pagare i fornitori a 45 giorni, terza miglior performance italiana. Risultati, questi e molti altri, da condividere con tutti gli attori del sistema, dalle istituzioni che da anni han saputo programmare, all’Azienda e ai suoi operatori tutti, capaci di lavorare con professionalità  e di individuare un “percorso di efficienza organizzativa seria”, ha sottolineato Orlandi.

“Appropriatezza” è la parola (la sfida) che torna in tutti gli interventi della giornata. Orlandi la definisce la chiave per coniugare universalismo e equità del servizio sanitario, perché solo se si danno le prestazioni appropriate a ciascuno, si potranno ridurre sprechi e garantire di più a tutti. Con ciò assicurando non solo servizi migliori ai cittadini e dando, tra l’altro, alla sanità un ruolo importante nel rilancio dello sviluppo del Paese, visto che essa è l’unica industria pubblica italiana che ha ancora molte risorse, e sarà bene spenderle nel migliore dei modi.

Emilio Duca, direttore regionale della Sanità, reputa che, accanto ad una migliore integrazione funzionale tra gli ospedali e i servizi territoriali,  una scelta oculata dei criteri di appropriatezza degli interventi sanitari sarà decisiva per le regioni per entrare o restare nel novero di quelle virtuose. Come tali,  capaci di assicurare i livelli essenziali di assistenza ed i parametri su cui verterà la verifica degli adempimenti regionali rispetto gli standards fissati dallo Stato.

Verifica tanto più importante, ha detto la Presidente della Regione Catiuscia Marini, per la ripartizione del fondo sanitario nazionale tra le Regioni in tempo di crisi.  A questo proposito, Marini ha sottolineato come le Regioni abbiano chiesto allo Stato la cosiddetta “definizione di costi standard” per impedire che si proceda a tagli orizzontali lineari del fondo, che penalizzerebbero proprio le regioni più virtuose come l’Umbria. L’adozione dei costi standard è per Marini una “sfida di responsabilità” che riguarda tutti gli operatori della sanità: professionisti, medici, infermieri e tutti gli operatori del servizio sanitario. I “costi standard” si costruiscono sugli standard delle regioni più virtuose. Su molti di questi costi, l’Umbria è benchmark, ovvero regione presa come punto di riferimento per la misurazione, proprio grazie ai livelli alti raggiunti di rapporto qualità/costi nei servizi sanitari. Ma la sfida, per tutti, è di non restare fermi, di migliorare ancora, di aggredire le criticità che ancora ci sono. Alcune, dalla gestione dei posti letto talvolta messi nei corridoi per mancanza di spazi, ai livelli non sempre eccelsi di servizi alberghieri e di pulizia degli spazi ospedalieri, li ha voluti sottolineare il Preside di Medicina, Luciano Binaglia, che nell’occasione ha pubblicamente annunciato le sue imminenti dimissioni dalla carica. Il rapporto non fiduciario con il nuovo rettore Moriconi è risaputo. E lo stesso Magnifico, intervenendo all’incontro, nulla ha fatto per nasconderlo, ribadendo che la gestione della facoltà di Medicina sarà seguita da lui “direttamente e personalmente”. Moriconi ha richiamato le parole d’ordine del suo programma elettorale per la corsa a Rettore: “etica, morale  qualità, merito”, dichiarando che ad esse continuerà ad ispirarsi nei sei anni di guida dell’Ateneo che lo aspettano. “Qui, ha detto riferendosi all’Azienda Ospedaliera, ci sono eccellenze e su quella strada bisogna andare più avanti”. Dunque, la qualità scientifica delle persone e dei progetti sarà per lui fondamentale per valutare ogni forma di intervento in sinergia tra Università e Azienda Ospedaliera. Enti tra i quali occorre da subito individuare, ha ammonito, un “percorso ben definito, senza più improvvisazioni, mine  e tranelli”.

A partire dai famosi protocolli attuativi per costituire l’Azienda ospedaliera-universitaria, la cui definizione, ha assicurato il neo Rettore, riprenderà a gennaio, in ciò rispondendo alla sollecitazione ricevuta  da altri interventi, tra cui quello del Sindaco di Perugia Wladimiro Boccali. Il primo cittadino, compiacendosi per la positività dei risultati raggiunti dal “Santa Maria della Misericordia”, aveva sottolineato la necessità di dare all’ospedale del capoluogo una connotazione sempre più di alta specializzazione. Ciò senza trascurare ma, anzi, intensificando, la sinergia con gli ospedali ed i servizi del territorio, perché la risposta ai bisogni sanitari della popolazione (che crescono e si diversificano, per esempio le dipendenze alimentari o da sostanze psicotrope)  non può che essere unitaria. E in questo quadro, anche il ruolo dei comuni, che rappresentano la generalità dei bisogni dei cittadini, non potrà essere marginale. Anche l’Università di Perugia, per Boccali,  sta dentro al discorso e ormai si impone a tutti i soggetti istituzionali una collaborazione “senza più recinti” ed etichette incomprensibili ai cittadini che chiedono solo risposte efficienti.

 

Sul tema del “fare sistema” è tornata nelle sue conclusioni Catiuscia Marini, che ha rivendicato alla sua amministrazione il merito di aver puntato dritta la barra sull’obiettivo/necessità di introdurre una governance unitaria nelle sei aziende sanitarie umbre, che spesso prima agivano in ordine sparso e talvolta in concorrenza tra loro. Ora il servizio sanitario regionale è unico, anche grazie al rafforzato coordinamento regionale, che si spinge anche dentro scelte di organizzazione di servizi calate nelle singole aziende, ma in funzione delle esigenze di tutta la regione.

Nel discorso del gioco di squadra, la governatrice non dimentica l’Università, alla quale ricorda che la missione di fare un sistema efficiente e rapportato a tutto il territorio umbro, vale anche per l’Ateneo. In questo quadro, anche gli ospedali di territorio  per Marini devono essere non “inglobati” (come aveva indicato Binaglia) ma possono e devono entrare in rete con l’Azienda Ospedaliera e le sue équipes medico sanitarie, nelle quali coesistono ospedalieri e universitari. Questa sinergia, secondo la Presidente, potrebbe aiutare in modo sostanziale, tra l’altro, ad abbattere le liste attesa e ad attrarre utenti da altre regioni. E tutto ciò che aumenta l’efficienza del servizio sanitario, può risultare decisivo per il suo mantenimento come servizio universale gestito dalle autonomie locali. Perché le inefficienze, ha messo in guardia Marini, se non migliorate, possono indurre il rischio di una centralizzazione delle decisioni a livello nazionale e di una caratterizzazione delle scelte non come opzioni di politica sanitaria delle comunità locali,  ma come imposizioni tecnicistiche dettate da meri calcoli economSNOIici e ragionieristici.

 

Daniele Orlandi – Agenzia Stampa Italia

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