L’operazione che ha compiuto, probabilmente, è stata più temeraria di quella di Sauro. Eppure l’eroe di Capodistria ha intitolate piazze, strade, viali, e campeggia in alcuni libri di scuola. Maria Pasquinelli, seppur vivente, è stata soggetta al silenzio. Suo, e quello imposto dagli altri.
Il suo silenzio, è tuttavia comprensibile. La condanna a morte, poi tramutata in ergastolo, e la lunga detenzione sino al 1965, hanno sicuramente lasciato un’impronta nel suo carattere. Nessun intervista, salvo a qualche rara persona, è stata rilasciata nel dopoguerra. E’ tornata a vivere a Bergamo, e lì è rimasta, sino a qualche giorno fa, ultimo momento della sua esistenza. Ha accettato qualche visita da parte di esuli e persone care, ma non troppe. Gli stessi esuli, ora, che sembran ricordarla in massa, l’han condannata a quel silenzio sopraccitato. E’ d’uopo, a mio avviso ricordare la sua lettera – testamento, che rispecchia completamente il suo pensiero, e la sua azione: “Seguendo l’esempio dei 600.000 caduti nella guerra di redenzione 1915-18, sensibile come Loro all’appello di Oberdan, cui si aggiungono le invocazioni strazianti di migliaia di Giuliani infoibati dagli Jugoslavi, al settembre 1943 a tutt’oggi solo perché rei d’italianità, a Pola irrorata del sangue di Sauro, capitale dell’Istria martire, riconfermo l’indissolubilità del vincolo che lega la Madre-Patria alle italianissime terre di Zara,di Fiume della Venezia Giulia , eroici nostri baluardi contro il panslavismo minacciante tutta la civiltà occidentale. Mi ribello - col proposito fermo di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli - ai quattro Grandi, i quali, alla Conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare una volta ancora dal grembo materno le terre più sacre all’Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o - con la più fredda consapevolezza che è correità - al giogo jugoslavo, oggi sinonimo per le nostre genti, indomabilmente italiane, di morte in foiba, di deportazione, di esilio.
Maria Pasquinelli Pola , 10 febbraio 1947”
Compilata nella data che segna il nostro giorno del ricordo – dell’esodo giuliano – dalmata, anche questa lettera tocca le corde del cuore. Così come la tragedia di quella terra, nobilissima, da lei tanto amata.
Valentino Quintana per Agenzia Stampa Italiaalle
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