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Enrico Forti, uno dei tremila italiani detenuti all’estero, scrive agli amici dalla prigione statunitense

(ASI) Sono circa tremila i connazionali italiani detenuti all’estero, lontani dalla propria casa e dai propri affetti e con le enormi difficoltà che ne derivano. Agenzia Stampa Italia, tramite i suoi spazi, ha più volte dato voce a queste incredibili e tristi storie.

 


Di Enrico “Chico” Forti che, dall’11 ottobre del 1999 è rinchiuso in una cella di Miami negli Stati Uniti, ne aveva parlato l’amico e collega Federico Cenci ad inizio novembre, con un interessante intervista che potete leggere a questo indirizzo: http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5573:italiani-detenuti-allestero-la-vicenda-di-enrico-qchicoq-forti-&catid=19:interviste&Itemid=46

Oggi, vi proponiamo una lettera che Enrico Forti ha scritto agli amici e che ci è arrivata in redazione.

“La vita è una partita di scacchi giocata col nero. Tanti amici mi hanno chiesto il significato di questa mia frase. E’ chiaro, si tratta di un’analogia. Iniziare una partita a scacchi con i pezzi di colore nero è uno svantaggio perché si perde la prima mossa. La vita è così. A volte ci sembra d’essere in situazioni impossibili, mentre poi in realtà riusciamo a superare le avversità, spesso raggiungendo il traguardo propostoci. Da dodici anni sto giocando col nero ed ancora non mi hanno dato scacco matto. Sempre nel mondo delle analogie, se Natale fosse un tavolo da biliardo, potrei dirvi che da dodici anni lo sto vivendo di sponda. Lo vivo con felicità riflessa. Mi immedesimo con i miei familiari, gli amici più cari, la gente di Trento, le centinaia di migliaia di amici in Italia che non ho avuto la possibilità e fortuna di conoscere. Gioisco nell’immaginare le vostre emozioni. Immaginazione e memoria sono gli appigli che mi mantengono sano di mente, che mi permettono di superare queste recinzioni elettrificate e l’oceano che ci separa. Le feste natalizie sono un inno alla gioia, da festeggiare con familiari ed amici. Ovviamente qui non ho né familiari né amici. Da dodici anni la mia famiglia siete voi. Riesco a vedere alcuni di voi, di persona. Da poco infatti ho ricevuto la visita di Lorenzo e Franco che in vostra rappresentanza ed a tappe, mi hanno fatto il regalo di Natale anticipato. La prima tappa, il viaggio a Roma in bicicletta con canottiera “Chichizzata,” per salutarmi il Papa. La seconda, il viaggio a Miami partecipando a l’”Ironman” internazionale, classificandosi entrambi ai primi posti. Tagliando il traguardo, mentre veniva fatta la foto d’archivio, con il tempo realizzato sovraimposto, hanno entrambi sollevato uno striscione con la scritta “Chico Libero”. Quella foto di Lorenzo, esausto, sollevando il mio nome alla Dorando Pietri, rimarrà nelle cose più care in mio possesso. Altro paladino che viene a trovarmi in vostra rappresentanza e non mi fa sentire dimenticato è Roberto. Sardo di nascita ma ormai adottato trentino, che ha fatto della mia libertà la sua crociata personale. Trova il tempo per venirmi a trovare spesso e le sue visite sono momenti bellissimi. Con le parole riesce a farmi uscire da queste pareti. Mi descrive cose che così riesco a vivere in prima persona anche se sono a migliaia di chilometri di distanza. Non usa mai il putativo, anzi, ripete con veemenza le parole “a breve”. Quest’anno ho chiesto a Babbo Natale di trasformarmi temporaneamente in una macchina del tempo e un orologio antico, con carica manuale. Come si estrae la coroncina laterale si fermano le lancette e con esse, il tempo. Potrei così controllare il tempo come un direttore d’orchestra, variandone il ritmo, a comando. Qui dentro gli anni stanno passando troppo velocemente. Sono traghetti in viaggio di sola andata che non ripasseranno da questa stazione. E sono sempre più radi. Io, grazie a voi, mi mantengo in forma al meglio delle mie facoltà. Questa mattina appena sveglio, involontariamente e inevitabilmente, dato lo spazio ristretto, mi sono visto riflesso nel pezzo di metallo lucido rivettato alla parete sovrastante il duplex lavandino/gabinetto che usiamo come specchio. Ho notato delle pieghe nella pelle che ieri non c’erano. Una pelle che può raccontare tante storie, ma tante altre vorrebbe dimenticarle. Per 40 anni ho vissuto una vita meravigliosa, in quinta marcia, perché la sesta ancora non c’era. Ho seguito un percorso cosparso di lampade d’Aladino. Ogni mio sogno si è trasformato in realtà. Adesso invece, sono dodici anni che sto viaggiando in folle, come una stella cadente che poco a poco sta perdendo la sua luce, influenzata dalla forza di gravità di qualche asteroide sconosciuto. Sto vivendo una realtà surreale, impregnata di diniego. Un incubo dal quale solo il contatto epidermico delle persone più care mi può riscattare. Per questo ricarico queste mie batterie con gioia riflessa. A Natale dovrebbe essere compulsivo il calumet della pace, meglio se di quelli col fumo di vapore. E’ una festa dedicata al prossimo. Come descrivere il sorriso di felicità delle persone a noi care all’apertura dei regali, anche se simbolici. L’inverno senza Natale è come Trento senza il Duomo o Checco Moser senza la bicicletta. Ho cercato per anni di resistere alla demistificazione di Babbo Natale. Fino a quella notte quando, undicenne e nascosto dietro il divano, scoprii mio padre, quatto quatto, sotto l’albero, con i regali in mano. Rifiutando di accettare la mia realtà gli dissi: “Papà devi aspettare fino a domani mattina per altri regali, se no Babbo Natale si arrabbia”. Già allora era innata dentro di me la voglia di trovare a tutti i costi il lato positivo, del pregio invece del difetto. Ci si continua a lamentare per ciò che ci va storto, senza rendersi conto della fortuna di poter svegliarsi ogni mattina, di fare una passeggiata sotto il sole, la pioggia o la neve, essere liberi a contatto con la natura, felici anche se solo con quattro lire in tasca. Scusate se sono rimasto alla nostra vecchia moneta. Oggi, la tendenza comune è di volere sempre di più di ciò che si possiede. Nella tragedia, io, continuando a manomettere le lancette, mi ritengo comunque fortunato. Ho una famiglia che mi adora e tanti vecchi amici che mi sono sempre vicini, l’intera città di Trento che non smette un solo secondo di lottare per me. E una Nazione che, indipendentemente dalla gestione politica, segue a ruota. La mia “Odissea” avrà un finale positivo. Al contrario di Ulisse, non prevede camuffaggio, arco di acero e tanto meno vendetta. Non è facile riuscire a controllare la voglia di farla pagare a coloro che, volutamente, ci hanno fatto del male. E’ più forte di noi. Ha cercato di insegnarcelo il Nuovo Testamento nella frase: ”La vendetta non è dell’uomo”. Ce l’ha detto Confucio duemilacinquecento anni fa, consigliandoci di scavare due fosse, una per il nemico, una per noi stessi autodistrutti. Più recentemente ce l’ha dimostrato con l’esempio Martin Luther King dicendoci che vendetta e violenza non rendono giustizia. Però noi siamo testardi e facciamo fatica ad ascoltare i consigli, come Pinocchio come il Grillo Parlante. Mi è impossibile farvi un regalo concreto. Però, a voi che mi volete bene voglio far sapere che il vostro affetto è contraccambiato, in modo esponenziale. Il vostro regalo invece, l’ho già ricevuto e lo continuo a ricevere. E’ il continuo supporto di una città che non mi ha abbandonato, di una terra che grida il mio nome per le strade. Grazie a voi, sempre più gente, non solo in Italia ma nel mondo intero, è venuta a conoscenza del mio caso. Le vostre azioni valgono mille parole. Ed è alla mia città che dedico ogni minimo spiraglio di speranza. Adesso posso far rientrare la coroncina e le lancette possono avanzare di nuovo. Con voi nel cuore vi mando un caldo abbraccio. Non troppo caldo però, non vorrei far sciogliere quella poca neve sulle nostre montagne. Trentino per sempre. Chico

 
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