(ASI) Sono un centinaio i chilometri che separano Derry da Belfast, due città che in epoca recente hanno testimoniato, in modo viscerale ed impetuoso, la contrapposizione tra repubblicani irlandesi e unionisti britannici.
Nei loro agglomerati di cemento, ove trovano collocazione ruvidi ghetti settari che tracimano sentimenti forti, il sangue innocente ha macchiato l’asfalto troppe volte e impunemente per poter essere lavato via dal tempo. Tra gli anni 1971 e 1972, nelle strade di queste due città, sono stati compiuti dall’esercito britannico due tra i massacri più brutali nella storia del Regno Unito del ventesimo secolo. Come instancabili guerrieri dai volti segnati dal dolore, per quarant’anni i familiari delle vittime - costretti spesso a confrontarsi con impenetrabili muri di gomma istituzionali ma supportati dall’affetto e dall’aiuto della comunità repubblicana di tutto il Nord Irlanda - hanno svolto una pacifica battaglia al fine di restituire giustizia ai loro cari uccisi dal fuoco dei militari di “Sua Maestà”.
Lo scorso gennaio, durante l’annuale e gremita marcia in ricordo del Bloody Sunday, a Derry, vi era stato un ideale passaggio di testimone tra i familiari delle quattordici vittime di quella famosa strage avvenuta nel Bogside ai danni di manifestanti repubblicani e i familiari delle vittime del massacro di Ballymurphy, periferia ovest di Belfast. Si consumarono in quell’occasione momenti di intensa commozione per celebrare un episodio storico: dopo anni di estenuanti battaglie civili, nel giugno 2010 arrivarono le agognate scuse da parte del Governo inglese, il quale, a conclusione del rapporto sulla strage redatto da Lord Saville, riconosceva la natura ingiustificata di quella carneficina ai danni di pacifici manifestanti.
L’ammissione britannica accese di speranza i cuori dei familiari delle vittime di Ballymurphy, i quali domenica scorsa hanno sfilato in corteo per le strade del quartiere nel quale, tra il 9 e l’11 agosto 1971, i loro cari (11 persone) vennero uccisi a sangue freddo dai proiettili sparati dall’esercito britannico. Ancora oggi le autorità britanniche ripetono un adagio che risuona alquanto offensivo per le orecchie dei familiari: l’esercito avrebbe sparato quei colpi in risposta al fuoco dei repubblicani, impegnati a protestare in quei giorni contro l’internamento senza processo dei sospettati di terrorismo. Tra le vittime, anche alcuni anziani ed un innocuo prete cattolico che stava accorrendo in aiuto di un uomo ferito.
La marcia di domenica scorsa, alla quale hanno partecipato almeno 200 persone, si è snodata per le strade del quartiere per poi concludersi con un comizio durante il quale hanno parlato familiari delle vittime ed esponenti politici repubblicani. “Sono stati tutti uccisi” le parole di John Teggart, che nella strage ha perso il fratello. “Sono passati quarant’anni e ancora non è stata aperta un’inchiesta. È importante per le famiglie. Le vittime abitavano tutte nello stesso quartiere, ed erano in strada ad aiutare altre persone”. Gerry Adams, leader del Sinn Féin, ha affermato: “Dopo la pubblicazione del Rapporto Saville, il Primo Ministro britannico David Cameron ha detto che gli eventi del Bloody Sunday non hanno definito il ruolo dell’esercito britannico in Irlanda. Si sbaglia. A mio parere, gli inglesi sapevano di uccidere civili disarmati”. Omicidi commessi con uguale modalità: a Derry, durante una fredda domenica invernale chiamata Bloody Sunday, come a Ballymurphy nell’agosto precedente. Gli autori, del resto, sono i medesimi, si tratta del primo battaglione paracadutisti dell’esercito britannico.
Attualmente, un rapporto anche per il massacro di Ballymurphy sembra ancora lontano; la strada per il riconoscimento d’innocenza delle vittime e per le scuse da parte del governo inglese appare impervia. Tuttavia le famiglie non intendono arretrare un metro, tenendo fede ad una tradizione che dipinge il popolo irlandese come “fiero e intatto”. Aggettivi che riecheggiano nel testo della canzone di Gerard McConnell “Ballymurphy massacre song”, le cui note hanno emozionato e incoraggiato la comunità repubblicana che si è radunata nei luoghi del massacro, a quarant’anni di distanza, per esprimere quell’anelito di libertà e giustizia che la contraddistingue.