Dapprima Damasco ha conosciuto l'ennesima deflagrazione foriera di sangue: una bomba nascosta all'interno di un taxi è esplosa nella piazza di Bab Tuma, davanti a una stazione di polizia nel quartiere cristiano della capitale, facendo 13 morti e circa 30 feriti. In città era presente anche Lakhdar Brahimi, inviato dell'Onu che stava proponendo proprio in quelle ore al presidente Assad una tregua militare in occasione della festività di Eid al-Adha (che dura quattro giorni).
Pochi istanti dopo, l'altra grande città siriana, Aleppo, ha seguito un copione altrettanto tragico. Stavolta, però, l'autobomba è stata innescata da un kamikaze di fronte all'ospedale francese, situato sempre presso un quartiere cristiano. L'esplosione ha causato trentuno morti e decine di feriti.
Appena due giorni prima di questi nuovi attentati terroristici provocati dai ribelli, un eloquente allarme era stato lanciato dalla Cnewa (Catholic Near East Welfare Association), l’agenzia pontificia della Congregazione per le Chiese orientali che assiste i cristiani in Medio Oriente: un documento diramato dall'agenzia faceva riferimento al timore di "una catastrofe umanitaria" specialmente per i cristiani di Aleppo, città che i jihadisti stanno tentando di strappare ai suoi legittimi abitanti.
Homs è tuttavia la realtà che meglio di altre testimonia questa catastrofe: qui il 90 per cento dei cristiani è stato costretto a fuggire dai ribelli, i quali hanno poi proceduto a confiscarne le case. Cristiani perseguitati in ogni angolo del Paese; un gran numero di loro fa parte di quei quasi due milioni di siriani rimasti sfollati. A differenza di altri loro connazionali, però, i cristiani non stanno trovando accoglienza nei campi allestiti in Turchia o in Giordania; essi si stanno rifugiando in Libano o in zone della Siria - almeno momentaneamente - più sicure.
I cristiani di Siria ripongono grande attesa nella visita che una delegazione del Sinodo dei vescovi effettuerà nel Paese da martedì prossimo. Gregorios III, patriarca cattolico greco-melkita, ha anticipato che vi saranno incontri con membri del governo e dell'opposizione, così come con i profughi. Ogni sforzo va attuato affinché si arresti quello che lo stesso Gregorios III ha definito un "tunnel senza luce" e "un bagno di sangue".
Federico Cenci - Agenzia Stampa Italia