(ASI) Correva l’anno ‘97, Bill Clinton cominciava il suo secondo mandato da presidente degli Stati Uniti d’America, il rapper Notorious B.I.G. veniva assassinato a Los Angeles, la sonda Mars Pathfinder si posava su Marte e il Barcellona affidava la panchina a Louis Van Gaal.
L’allenatore olandese viene scelto per ripetere in Spagna le grandi gesta sportive compiute in Olanda alla guida dell’Ajax. Spesso descritto come inflessibile e autoritario, Van Gaal ha sempre avuto una visione precisa del calcio e dei suoi schemi. Non ha mai avuto paura di prendere decisioni impopolari e di affrontare le critiche con fermezza. La prima stagione, la 1997/98, fu un mix di successi e polemiche. Introdusse nella squadra il 4-3-3, modulo che enfatizzava il possesso palla e la disciplina tattica. I successi, grazie anche alla mediazione del suo vice con lo spogliatoio, tale Jose Mourinho, e l’intelligenza tattica del suo capitano, quel Pep Guardiola padre-padrone del Tiki Taka, non tardarono ad arrivare. Supercoppa Europea in estate contro il Borussia Dortmund di Nevio Scala, Liga e Coppa del Re. I conflitti piu aspri li ebbe con Rivaldo, Stoitchkov, Dugarry, Sonny Anderson e Amunike. Per tutti, nessuno escluso, fu una questione di ruolo a far deteriorare i rapporti. Rivaldo voleva giocare da trequartista, per Van Gaal era un’ala sinistra. Continue e costanti polemiche in cui la stampa spagnola sguazzava allegramente. Nel suo 4-3-3, Van Gaal sottolineava l’importanza della “disciplina posizionale”, chiedendo ai suoi calciatori di mantenere la posizione in campo e di eseguire movimenti chiari e precisi. Rivaldo ha raccontato che Van Gaal cercò di umiliarlo in diverse occasioni. Anche una leggenda del club come Hristo Stoitchkov decise di tornare in Bulgaria al CSKA Sofia, il club dove aveva cominciato la carriera. Il bulgaro era noto per il suo temperamento focoso che mal si sposava con lo stile autoritario e l’enfasi sulla disciplina tattica dell’allenatore. Christophe Dugarry, trascorsi anche al Milan del secondo - e deludente - Sacchi, visse un'esperienza breve ma intensa in quel Barcellona. Trovò difficile adattarsi allo stile di gioco di Van Gaal, a quel 4-3-3 liberamente rigido, e alla vita a Barcellona. Le sue prestazioni in campo non furono all'altezza delle aspettative, e dopo solo una stagione se ne andò all'Olympique de Marseille. Anche Sonny Anderson, attaccante brasiliano, ebbe un rapporto complesso con Van Gaal. Possedeva grande talento, ma spesso si trovava in competizione con altri attaccanti per un posto da titolare. Non amava non sentirsi al centro dell’attenzione, come lo era stato in Francia nel Principato di Monaco, e pur apprezzandone le notevoli qualità, Van Gaal non mise mai in discussion la sua rigidità tattica e la sua preferenza per un gioco di squadra disciplinato che, in qualche misura, limitavano la libertà creativa del brasiliano. Nonostante queste difficoltà, Anderson riuscì a segnare diversi gol importanti per il Barcellona. Emmanuel Amunike, un'ala nigeriana, ebbe anche lui un'esperienza difficile al Barcellona. Divenne famoso durante i campionati del mondo del 1994. Quelli disputati negli Stati Uniti d’America. La sua Nigeria, vera rivelazione del torneo, fu eliminata dalla perle di Roberto Baggio, il Divin Codino più determinante degli schemi di Arrigo Sacchi. Gli infortuni limitarono gravemente le presenze di Amunike con la maglia del Barça, e il suo rapporto con Van Gaal fu segnato da incomprensioni e frustrazioni. Amunike trovò difficile adattarsi alle rigide richieste tattiche di Van Gaal, e la mancanza di continuità nelle sue prestazioni rese difficile per lui trovare un posto fisso nella squadra. Nonostante queste sfide, Amunike rimase professionale e cercò sempre di dare il massimo quando gli veniva data l'opportunità di giocare. Tutti, nel lungo termine, nonostante i conflitti, ne hanno riconosciuto l’importanza nel calcio moderno. La sua eredità pesa, eccome. Siamo tutti un pò Van Gaal.
Raffaele Garinella - Agenzia Stampa Italia