(ASI) Quando Ariel Ortega arriva a Parma ha addosso un pesante fardello. Sono tanti a credere che El Burrito, l’asinello, sia giunto nella città tanto cara a Maria Luisa d’Asburgo, prima moglie di Napoleone, per far dimenticare Juan Sebastian Veron. Magìe che dalle parti del Lungo Torrente sono pronti ad applaudire come fatto per quelle uscite dai piedi fatati della Brujita. I due calciatori hanno l’animo da numero 10 ma sono profondamente differenti. Non solo tecnicamente, ma anche caratterialmente. Ortega, che più di qualcuno ha paragonato a Diego Armando Maradona, è un argentino atipico: schivo, riservato, timido. L’Italia gli piace, apprezza Parma e i suoi piaceri culinari che accompagna sempre con qualche coca cola di troppo. Impossibile rinunciare a quel tocco frizzante.
Parma sembra essere la città ideale, a misura d’uomo, perfetta per lasciarsi alle spalle le delusioni di Genova. La Sampdoria lo aveva acquistato per 23 miliardi di lire con l’obiettivo di rivedere nell’estro argentino il talento mai sbiadito di Roberto Mancini. Una chimera, scampoli di meraviglia in una stagione culminata con una retrocessione maledetta. Malesani è paziente, prova saggiamente a strofinare più volte la lampada ma Ortega, come ogni genio che si rispetti, esaudisce solo tre desideri. Un magro bottino di gol, in appena diciotto presenze, che non cambierà la stagione del Parma, sconfitto dall’Inter nello spareggio Champions League ed affossato dal talento cristallino di Roberto Baggio. Neanche la vicinanza dell’amico Crespo lo aiuta ad emergere da un letargo che sembra perenne.
Ortega fa le valigie e se torna in Argentina con la speranza di ritrovare il talento offuscato, ma scoprirà ben presto di averlo smarrito. Evaporato troppo in fretta come le bollicine che, nel frattempo, ha sostituito alla coca cola. Un grande calciatore mai del tutto sbocciato, un Cupido che ha fatto innamorare tanti tifosi. Un uomo con pregi e difetti.
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