(ASI) Curatore d’arte, giornalista, scrittore, reporter. Ma anche promotore di grandi eventi internazionali, manager di personalità del calibro di Vittorio Sgarbi, Katia Ricciarelli, Margherita Hack e Francesco Alberoni. Salvo Nugnes ha attraversato quasi quarant’anni di cultura italiana, costruendo ponti tra arte, pensiero e comunicazione.
Lo incontriamo per una conversazione a cuore aperto sul suo percorso e sul futuro dell’arte.
Signor Nugnes, ha lavorato con alcune delle menti più brillanti del nostro Paese. Cosa le hanno insegnato queste personalità così diverse tra loro?
La cosa che mi ha sempre colpito, in tutti loro, è la coerenza. Ognuno, con il proprio stile, ha saputo difendere una visione, un pensiero. Vittorio Sgarbi, ad esempio, ha la capacità unica di portare l’arte fuori dalle élite. Margherita Hack mi ha insegnato che la scienza, se raccontata con passione, è comprensibile a tutti. E Katia Ricciarelli ha mostrato che il talento va sempre accompagnato da disciplina. Il mio compito era ascoltare, organizzare, valorizzare. Ma anche imparare.
Oggi l’artista sembra sempre più immerso nei meccanismi della comunicazione. Cosa è cambiato nel suo ruolo?
È cambiato il mondo, e quindi è cambiato anche il ruolo dell’artista. Oggi non basta creare: bisogna saper comunicare. I social sono una vetrina potentissima, ma anche un rischio, perché si rischia di confondere visibilità con valore. Il vero artista resta quello che riesce a parlare all’anima, anche in mezzo al rumore digitale.
Con “Spoleto Arte” e con tante altre rassegne ha costruito un sistema di promozione per artisti italiani e internazionali. Qual è il cuore di questi progetti?
Il cuore è dare voce a chi ha qualcosa da dire. Che sia un grande nome o un talento emergente, ciò che conta è la qualità, la passione, la ricerca. Ho sempre cercato di creare spazi inclusivi ma selettivi, dove la cultura potesse mostrarsi con dignità. E dove ogni artista potesse incontrare il suo pubblico, anche in contesti prestigiosi: musei, palazzi storici, eventi internazionali.
Come scrittore e reporter, lei ha pubblicato articoli, saggi, interviste. Cosa la guida nella scelta dei temi?
Mi guida la curiosità. E il desiderio di lasciare una traccia. Quando scrivo, cerco sempre di raccontare qualcosa che possa servire agli altri: un’idea, un’esperienza, una riflessione. La scrittura per me è un’estensione del dialogo con il mondo. Non amo la scrittura sterile, autoreferenziale. Mi interessa ciò che muove le coscienze.
C’è un momento che ricorda con particolare emozione?
Sì, più di uno. Ma se dovessi sceglierne uno, direi l’incontro con Papa Francesco in udienza privata. In quel momento ho percepito che cultura e spiritualità non sono due binari separati, ma possono camminare insieme. Anche parlare con il grande sociologo Francesco Alberoni - che ho frequentato a lungo e a cui ero legato da una sincera amicizia - era sempre un viaggio nel profondo della psiche e delle dinamiche umane. Momenti che non si dimenticano.
Quali sono, oggi, secondo lei, i segnali più interessanti nel panorama culturale contemporaneo?
Vedo fermento. C’è un ritorno al pensiero, anche nei giovani. La superficialità degli ultimi anni sta lasciando spazio a un bisogno di autenticità. Alcuni giovani artisti, registi, scrittori – magari ancora poco conosciuti – stanno portando linguaggi nuovi, contaminazioni stimolanti.
Un consiglio a un ragazzo che vuole entrare nel mondo dell’arte o della cultura oggi?
Studia. Lavora. Ascolta. Non cercare scorciatoie. La cultura è un mestiere serio. Serve passione, ma anche metodo, umiltà e spirito di sacrificio. E soprattutto, non dimenticare mai che la cultura – la vera cultura – serve a costruire, non a dividere.



