(ASI) Perfino nel 2024, più di trent’anni dopo la fine del comunismo, nel giorno di Santo Stefano dell’anno 1991, le evidenze storiche non vengono accettate: il comunismo, da Lenin, in poi, è la pietra angolare del totalitarismo. Di ogni totalitarismo. La “giustizia proletaria” ha sempre prodotto morte, violenza e miseria, senza nessuna eccezione.
Lenin fregò anche i suoi, prima parlò, nelle “Tesi di aprile” (1917) di “potere ai soviet”, e poi instaurò la feroce dittatura del partito unico, fatto di rivoluzionari di professione, tutti conquistati dallo zelo missionario per la costruzione del “bel sol dell’avvenire”. Ebbene, Tito è un capitolo di questa sanguinosa storia.
Quando, dopo l’8 settembre 1943, l’Italia è allo sbando, Tito cala come un Attila moderno nella Venezia Giulia in mano ai tedeschi e inizia la macelleria. C’è la marmaglia fascista, si dirà, da infoibare, è vera giustizia e liberazione delle terre invase dai fascisti e dai nazisti. Ma non finisce qui, perché il 1 maggio 1945 c’è il secondo tempo di questa maledetta partita giocata dal macellaio di Belgrado e siamo alle foibe di tutti gli italiani a tiro, proprio tutti, dai preti ai postini, dai giovani ai vecchi, perfino socialisti, partigiani, tutti insomma, purché italiani. Senza dimenticare una parte di sloveni, per non farsi mancare niente. La pulizia etnica alimentata dal delirio ideologico. Il potere comunista, come ha insegnato Lenin, non deve guardare in faccia a nessuno. Tito obbedisce al diktat dei padri fondatori del totalitarismo comunista. Da allora trecentosettantamila italiani se ne sono andati, sradicati dalla loro terra natia, e per non fare più ritorno laggiù. Alle spalle, l’inferno, davanti agli occhi un presente fatto di umiliazioni in quell’Italia che era già drogata di ideologia comunista e di antifascismo religioso, complici le classi dirigenti di un Paese che aveva perso una guerra e vedeva nei profughi un’imbarazzante pratica di cui sbarazzarsi velocemente.
La tragedia del popolo istriano
Il comunismo è il male del secolo e il comunismo ha costruito la macchina infernale delle foibe. La tragedia del popolo istriano, che è quella del popolo italiano, deve essere letta nella cornice di questa vicenda ideologica precisa e senza cedere ai distinguo che rischiano di replicare vecchi e perniciosi imbarazzi.
Perfino socialisti a diciotto carati ed anche alcuni comunisti, con i comunisti di Tito a Trieste, hanno gridato all’orrore: stiamo peggio di prima, venite a salvarci. Ma il fronte orientale è caldo e gli angloamericani fanno tattica sulla pelle degli italiani. Trieste tornerà italiana solo il 26 ottobre 1954. Siamo a un passo dal boom economico e la politica è troppo occupata a non creare imbarazzi agli alleati più forti, America in primis.
Infoibatore, sì, ma utile idiota
Poi non dimentichiamo che Tito, non allineato con l’Unione Sovietica fin dal 1948 e poi leader dei Paesi non allineati era una sponda perfetta per spostare i rapporti di forza interni al mondo comunista. L’Italia decide di approfittarne, tanti saluti ai profughi istriani e la medaglia più importante sul petto del maresciallo Tito, il macellaio di Belgrado. Quando? Ricordiamo anche questo fatto: il 2 ottobre 1969, durante una visita ufficiale a Belgrado dell’allora Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat. Anche Pertini aveva speciali simpatie per il “compagno” Tito.
Nonostante molti socialisti fossero finiti laggiù, nell’abisso senza fondo delle foibe. Ma c’era di mezzo anche l’ubriacatura socialista per la cosiddetta “autogestione jugoslava”, illusoriamente immaginata come una sorta di “terza via” tra il capitalismo di mercato e il collettivismo dispotico.
Le foibe sono, dunque, un tragico e indescrivibilmente devastante momento del progetto comunista di soppressione della libertà e di ogni elemento, anche etnico, in grado di sostenere una società fondata sui valori tradizionali, sulla religiosità di un popolo, sulle libere istituzioni. Totalitarismo a tutto tondo. D’altra parte, soprattutto in Italia, ma senza trascurare almeno la Francia e la Spagna, un cittadino poteva dirsi comunista senza neppure menzionare i crimini commessi dai suoi compagni al di là della “cortina di ferro”. Un caso ancora da studiare e certo ancora in qualche modo non trascurabile, visto che, per un vizio di forma, c’è chi si è opposto, a sinistra, alla “revoca delle onorificenze dell’Ordine al merito della Repubblica italiana” al maresciallo infoibatore Josip Broz Tito. “Appellandosi a un presunto vizio di forma, il deputato piddino Gianni Cuperlo (n.d.r.: per la cronaca, nato a Trieste il 3 settembre 1961) ha deciso di bloccare tutto. Assicurando, però, che in questa obiezione non ci sarebbe “nessun approccio negazionista” “. Meglio distinguersi da Tomaso Montanari e anche da Alessandro Barbero, che considera il Giorno del ricordo come una tappa della “falsificazione della storia da parte neofascista”.
Per concludere, nota personale
Chi scrive non è né neofascista né particolarmente tenero con una certa destra, definita, proprio su queste colonne, “nazista” e “antisemita”, quindi, lo schema falso e tendenzioso di cui sopra non regge. Mi basta e mi avanza conoscere quella storia, essere italiano e sapere, da vecchio socialista patriottico e craxiano, chi sono i comunisti.
Contra factum non valetargumentum. Nietzsche sentenziò: “Non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. Ma è fin troppo facile replicare che ogni interpretazione, per essere davvero degna di interesse generale, deve considerare i fatti, evitando di rivitalizzare, neppure larvatamente, la massima di Lenin: “Se la realtà non si adegua al materialismo storico, tanto peggio per la realtà”. Perché la “realtà” è fatta di persone catapultate nell’abisso infernale delle foibe, in una terra nella quale “anche le pietre parlano italiano”.
Raffaele Iannuzzi - Agenzia Stampa Italia
Fonte foto Sharon Ritossa, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons