(ASI) Per interpretare l’attacco ad Israele non limitiamoci alle apparenze, ma cerchiamo di valutare lo scenario complessivo e le di evitare le reazioni automatiche.
L’attacco massivo di Hamas ad Israele è sicuramente un fatto importante che, per la sua interpretazione, lascia aperti alcuni interrogativi. Certamente Israele è stata duramente colpita su nervi scoperti e l’azione di Hamas si presta a generare reazioni inconsulte che possono cambiare gli scenari della regione. L'impreparazione israeliana è risultata evidente e Hamas, con mezzi poco sofisticati, è riuscita a fare gravi danni e a sequestrare un numero imprecisato di ostaggi.
Le letture semplificartici e ideologiche non sono però adeguate. Se ne leggono molte e alcune tipiche di vecchi main stream. Una è quella all’unica democrazia della regione mediorientale sotto attacco. E’ scattata la condanna immediata degli stati vassalo degli USA che rinunciano automaticamente ad essere elementi di mediazione fra le parti in conflitto. Seppure Israele sia uno stato di diritto va detto che molti abusi commessi continuamente contro la popolazione palestinese non portano Israele ad essere una società che include tutti i propri cittadini.. Anche le continue violazioni della sovranità siriana e l’appoggio dato ai gruppi islamisti durante la guerra siriana sono criticabili e indici di una politica che non potrà mai portare ad una pace.
Da altre parti si assiste alla esaltazione dell’attacco come espressione della legittima volontà di reazione di un popolo oppresso senza condannare gli aspetti deteriori di questa azione che ha colpito, anche in maniera crudele ed efferata, i civili. L’azione militare di Hamas è stata brillante ma, date le forze in gioco, è suicida e ha sacrificato inevitabilmente le migliori forze militari di questa organizzazione che, ricordiamo, nata nell’ambito del movimento dei fratelli musulmani, fu aiutata ad affermarsi dal Mossad nell’ottica del dividi et impera volta ad indebolire la ANP. Oggi vediamo quanto siano dannosi questi tatticismi di corto respiro.
L’obiettivo della eclatante azione di Hamas non può dunque essere militare ma deve essere politico. In particolare oggi si assiste all’avvio di un processo di pace fra Arabia Saudita e Iran e ai colloqui fra Iran e Turchia, con un progressivo dialogo per risolvere i contrasti fra questi paesi. Anche i colloqui fra Arabia Saudita e Israele in corso possono portare ad una situazione di pace che, favorendo lo sviluppo economico di tutti i paesi, inevitabilmente porterebbe al venir meno di rischi di guerra e ad una progressiva attenuazione delle tensioni favorendo un modello di convivenza che, seppur conflittuale, sarebbe positivo.
Va notato che, per ora, non c’è stato un intervento coordinato con Hamas dell’Iran ed in particolare di Hezbollah come sarebbe stato logico nel caso della volontà di un attacco militare significativo a Israele. Le dichiarazioni iraniane, seppure retoricamente a favore dell’azione, non hanno portato finora all’uso del potenziale militare che è ben più pericoloso per Israele. Anche l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Turchia e la Russia hanno chiesto la fine dei combattimenti e si stanno muovendo con prudenza.
Una pacificazione generale del Medio Oriente è certamente invisa agli USA che sarebbero fuori da ogni influenza in questo processo. Esistono anche forze interne ad Israele, in particolare quelle del fondamentalismo religioso, che sono contrarie e chiedono ad esempio la ricostruzione del tempio ebraico con la conseguente distruzione della moschea di Al-Aqsa, che genererebbe l’immediata reazione del mondo islamico.
C’è quindi da augurarsi che le forze moderatrici prevalgano sulla politica del caos che qualcuno vuole fomentare per garantire interessi, forse diversificati e che possono trovare un terreno tattico di collaborazione. Non sapremo per ora i retroscena e forse non li conosceremo mai. Rimane però la necessità di favorire il dialogo diplomatico e la pacificazione della regione. Anche il nostro governo e la UE dovrebbero andare in questa direzione che è nell’interesse dei popoli europei mentre non di quelli delle élites della finanza globale.
Vincenzo Silvestrelli per Agenzia Stampa Italia