(ASI) Il tormentone è ormai un classico della retorica pubblica: la politica è finita. Il tramonto della politica ovvero, nella versione trontiana, “la politica al tramonto”. Veneziani sostiene che l’epoca delle alternative al sistema di dominio socioeconomico attuale sia tramontata.
Più di vent’anni fa, Toni Negri scriveva una genealogia del potere dell’Impero della globalizzazione e, alla vice “tramonto della politica”, scriveva, senza neanche asciugarsi le lacrime per l’incontenibile dolore: Amen. In altre parole: e allora? Tramontato il Novecento, tramontata la politica. Perché il Novecento è l’età del primato della politica.
Un sillogismo di tutto rispetto. Ma i sillogismi descrivono processi logici, ma non spiegano alcunché dei mutamenti della realtà. Ecco il punto.
Di “politica” ce n’è perfino troppa
Al netto della distinzione politologica tra “politics” e “policy”, ossia tra grande Politica e strategie di gestione delle faccende domestiche (dalle aziende alle associazioni), anche perché non ne possiamo più del dominio della lingua dell’ex Impero a stelle e strisce e del suo “doppio” storico-ideologico nella versione anglo-atlantista, quel che ci vien fatto di pensare è che di politica ce ne sia perfino troppa in circolazione. Si tratta di intendersi sul significato delle parole.
Ci viene in soccorso uno studioso colto come Carlo Galli che, nella sua prefazione al libro di Carl Rhodes, Capitalismo woke, appena tradotto e pubblicato in Italia, scrive che questa nuova forma di capitalismo ha una struttura totalmente politica: «Dalla filantropia primonovecentesca e dalla “responsabilità sociale delle aziende” degli anni Sessanta, cioè da un impulso del capitale a uscire dalla sfera meramente economica per legittimarsi e per fronteggiare alcuni problemi che esso stesso genera, il capitalismo woke, nato alla fine del XX secolo ed esploso nel XXI (nel mondo anglofono, in prevalenza), cela ben altro. Cela – o, meglio, manifesta dandola per ovvia e irreversibile – la fine della distinzione tra politica, società e terzo settore; la società è un unico magma informe, in cui i poteri forti sono quelli delle corporations, non certo quelli politici».
Si tratta, in sostanza, dello “scenario del neoliberismo maturo”, che, da un lato, canta ben volentieri il de profundis per lo Stato morto e defunto e, dall’altro, pensa che tocchi all’economia gestire le questioni sociali, e ciò direttamente oppure indirettamente, creando “o sponsorizzando movimenti politici di massa come, ad esempio “Me too”, “Black livesmatter” o le cause ambientali».
Dunque, «l’economia non si limita a invadere l’intera società, ma si sostituisce direttamente allo Stato”.
Siamo passati dal primato della politica e dello juspublicumeuropaeum, al panpoliticismo diretto, modello azione diretta movimentista e insieme basata sulla governance, che vuol dire “il governo politico è morto durante l’interregno della globalizzazione, ora tocca a noi agenti del Capitale “governare” senza essere eletti e scavalcando la carne viva della società, gli elettori”. La categoria di “governance” è l’unica parola-mantra inglese da tenere d’occhio, intraducibile, non a caso, in italiano, e sottoponibile a molteplici livelli di uso e manipolazione, in questa iperflessibile e modulare società capitalistica postmoderna.
Conclusione (provvisoria): questa iperpolitica del Capitale, che fa molto comodo all’eurocrazia dominante, non a caso mimetica rispetto ad essa, è una forma di panpoliticismoirrapresentabile secondo le categorie novecentesche della politica e del Politico, ma di invasione e invadenza illegittima (vedi sopra) del monopolio (illegittimo) della forza si tratta.
Non più “mundus furiosus”
Il mondo moderno è stato definito suggestivamente come “mundus furiosus”. Il mondo del monoteismo del Capitale, con avamposti nella società di natura iperpolitica, è qualcosa di assai meno “furiosus” ed oggettivamente pervasivo. Somiglia al destino dei tifoni nelle Filippine: la gente sa che ce ne saranno un certo numero durante l’anno e che la rappresentazione “T.I.N.A.” fa parte dell’immenso e incotenibile gioco delle forze della natura. “ThereIs No Alternative”, lo so, devo tradurre: “Non c’è alternativa (possibile)”. Il Capitale moderno nasce nella storia per sottrarre spazio alle forze naturali, dominandole e sfruttandole, il capitalismo wokeiperpolitico nasce per fare l’esatto contrario, rendere ciò che è sociale un Fato intrascendibile. La società è sfinita e l’iperpolitica del Capitale la domina; le chiese sono vuote, e la Religione del Capitale fornisce nuovi codici del “credo quia absurdum”. La furia storica non c’è più, domina la ferocia del banale dominio nel quotidiano.
Raffaele Iannuzzi – Agenzia Stampa Italia